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Il sì di Belgio, Francia e Germania ai rimpatri. I primi saranno trecento foreign fighter francesi

DALL’INVIATO A BEIRUT. I Paesi europei, a cominciare dal Belgio, sono pronti a riportare in patria i loro combattenti dell’Isis, custoditi dai curdi nel Nord-Est della Siria. La tregua concordata fra Turchia e guerriglieri delle Forze democratiche siriane servirà anche questo. Il tempo stringe, però, perché da martedì è probabile che l’offensiva turca riprenda con la massima intensità e i curdi non potranno garantire il passaggio. Il primo ad annunciare la svolta è stato Donald Trump, che ha scritto su Twitter come adesso gli alleati siano «disposti a riprendersi i foreign fighter». Poco dopo il Guardian ha rivelato che in Belgio le autorità hanno avvertito le famiglie di sospetti jihadisti: i «giorni di tregua» saranno utilizzati per provare a farli rientrare. Secondo il quotidiano britannico, Francia e Germania si muovono sulla stessa linea, mentre Londra non ha ancora deciso che cosa fare dei suoi 30 ex jihadisti in Siria.

Fra Siria e Iraq ci sarebbero ancora circa 2.600 foreign fighters «dello spazio Schengen», 138 partiti dall’Italia, più 500 balcanici. Manca una stima precisa su quanti siano quelli catturati durante la fine del califfato, fra il 2017 e il marzo di quest’anno. Si va da 800 a 2000, compresi però i famigliari, donne e minori. Di questi almeno 300 sono francesi. Ieri il capo dell’anti-terrorismo ha detto che dovrebbero essere riportati in Francia. È il primo che rompe questo tabù. Giovedì il ministro degli Esteri Yves Le Drian è andato a Baghdad per chiedere al governo iracheno di farsene carico e ha accusato le mogli dei jihadisti di «sapere quello che facevano» e meritare il processo. I famigliari dei jihadisti in Francia hanno però inviato una lettera al presidente Emmanuel Macron per chiedere il rimpatrio, specie dei bambini. In due anni a Parigi, Bruxelles, Berlino non si è arrivati a sciogliere il nodo.

La strada dei processi

La stragrande parte dei terroristi sostiene di aver raggiunto il califfato per svolgere «funzioni civili», cuochi, insegnanti, autisti e di non aver combattuto. Processarli e arrivare a una condanna non è semplice. C’è il rischio che ritornino in libertà in tempi rapidi.

Con la fine del Rojava autonomo e il ritiro delle forze americane il rischio maggiore è però che riescano a fuggire. Alcuni lo hanno già fatto. Da prigioni assaltate da cellule dell’Isis e soprattutto dal campo di Ayn Issa, da dove sono usciti in 750 nel caos causato dall’avanzare delle milizie alleate delle Turchia e dalla fuga di gran parte delle guardie curde. Ieri il comandante delle Forze democratiche siriane, generale Mazloum Abdi, ha detto che gli uomini hanno «ripreso le attività anti-Isis» e quindi mantengono la massima sorveglianza su campi e prigioni e riattivato la caccia agli evasi. Anche la Turchia ha però rivendicato, assieme ai miliziani arabo-sunniti, la cattura di «41 sospetti jihadisti». Entrambe le forze in campo cercano di rassicurare Stati Uniti ed Europa ma è da vedere se lo zelo sarà lo stesso dopo la ripresa delle ostilità

Il generale Abdi ha anche ribadito che i turchi non rispettano la tregua, «impediscono il ritiro» dei guerriglieri delle Ypg accerchiati a Ras al-Ayn, per «far ricadere su di noi la colpa delle violazioni». Per il comandante curdo «è un giochetto fra Stati Uniti e Turchia, una cospirazione contro di noi». Ieri i combattimenti a Ras al-Ayn sono quasi cessati, ma i miliziani della divisione Sultan Murad, in odore di jihadismo, hanno aperto un nuovo fronte più a Est e preso due villaggi, dopo aver demolito il muro di separazione alla frontiera fra Turchia e Siria. Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan si è però detto disposto a cedere in prospettiva il controllo delle «fascia di sicurezza» all’esercito governativo siriano. Ne discuterà martedì a Sochi con Vladimir Putin.

Sorgente: Siria, i Paesi Ue pronti a riprendersi i combattenti Isis – La Stampa

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