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Sono 12mila gli stranieri andati a combattere con l’Isis e possono tornare. Tra i nostri connazionali nelle carceri curde, anche tre “Lady Jihad”

di Fabio Tonacci e Giuliano Foschini

Le bombe e i colpi di mortaio fatti sparare dal presidente turco Erdogan in territorio curdo avranno, inevitabilmente, un effetto collaterale per l’Europa. E, dunque, per l’Italia: la fuga dei combattenti dell’Isis, chiusi in prigioni fatiscenti, palestre, palazzetti e campi sempre ormai meno controllati dai curdi. Sono 12mila, 2.200 dei quali — secondo le stime della nostra intelligence — sono europei. Cinque, italiani. E presto potrebbero tornare a casa.

La prova del rischio imminente lo dà la cronaca: a Qamishli, città del Nord-est della Siria controllata dai curdi, l’Isis ha azionato un’autobomba. E ad Al Hol è cominciata la rivolta delle mogli dell’Isis, in quella metropoli di capanne e polvere che ospita 76mila donne e bambini. Alla rivolta hanno partecipato, con ogni probabilità, due cittadine italiana. Una si chiama Alice Brignoli, è in quel campo da mesi insieme con quattro figli, di cui tre sicuramente suoi. Ha 43 anni, viveva a Bulciago, in provincia di Lecco. E quattro anni fa, dopo essersi convertita all’Islam, era partita con il marito, Mohamed Koriachi, per vivere nello Stato islamico. Voleva trasformare i suoi figli in soldati dell’Isis, appena tre giorni fa aveva però fatto sapere — tramite una Ong — alla nostra intelligence di volere tornare in Italia e costituirsi. Dovrebbero essere Al Hol anche una delle altre due lady jihad italiane (della quarta, Maria Giulia Sergio, non si hanno notizie da due anni: forse è morta nei combattimenti): la padovana Meriem Rehaily, 23 anni, ha due bambini piccoli e una condanna a quattro anni dal tribunale di Venezia.

La trevigiana Sonia Khediri, che aveva 17 anni quando partì per la Siria, dovrebbe essere invece in un altro campo, Heyn Issa, con i suoi due bambini. Anche Meriem e Sonya hanno fatto sapere di volere rientrare in Italia, pentite. «Si tratta, però, di situazioni molto delicate: chi si trova in questi campi è spesso disperato, con lo Stato islamico dissolto ha perso ogni copertura» spiega una fonte dell’intelligence italiana. «Non sempre sono pentimenti sinceri: la pericolosità potrebbe ancora essere alta». Ecco perché vengono prese con molta cautela tutte le dichiarazioni dei prigionieri europei che si dicono «pentiti». Come quella dell’italo marocchino Mounsef Hamid Almukhaiar, partito nel 2015 con il mito della «guerra santa contro i crociati». E che ora dice di «aver sbagliato tutto».

Il caso “italiano” non è però il più preoccupante. O meglio: il tema che in queste ore sta allarmando i servizi è più ampio, e riguarda tutta l’Europa. Si diceva, che i bombardamenti di Erdogan potrebbero favorire la fuga di più di duemila soldati europei dell’Isis che potrebbero, legittimamente, avendo i documenti in regola tornare a casa. Il campo “prigione” più grande sta a Tel Abyad, città curda investita dalla guerra e sottoposta a bombardamenti.

L’Italia non rischia tanto per i suoi combattenti di ritorno — i foreign fighter partiti o con legami con il nostro paese sono 142, di cui 48 sono morti — ma per una questione logistica. Il canale più facile — come tra l’altro testimoniano i viaggi di altri jihadisisti, compresi gli attentatori del Bataclan — per muoversi dalla Siria all’Europa, è il corridoio via mare che porta dalla Turchia alla Grecia. E da qui all’Italia. Eppure una soluzione sicura c’era. Come dimostra proprio l’esperienza italiana: le forze curdo-siriane hanno consegnato alla nostra polizia, a giugno scorso, Samir Bougana, italo marocchino che per quattro anni aveva combattuto con Isis. Era in carcere, dove dovrebbero essere gli altri duemila europei che ora, le bombe di Erdogan, rischiano invece di liberare.

Sorgente: L’allerta dei servizi sui foreign fighter. Ci sono anche 5 italiani | Rep

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