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Da Ras al Ayn a Ceylanpinar, tra trincee, tunnel e mitra. I turchi da quattro giorni annunciano la vittoria, i curdi, stremati, resistono

di Lorenzo Cremonesi

Il combattimento è stato decisamente impari. Aviazione, droni, carri armati e truppe speciali contro la guerriglia curda che si difende con mitragliatori, Rpg anticarro e al massimo qualche mortaio. Eppure no, nonostante i comandi turchi da almeno quattro giorni annuncino trionfanti di aver preso Ras al Ayn e vinto i «terroristi» curdi siriani assieme a quelli del Partito dei Lavoratori Curdo in Turchia (PKK), noi possiamo testimoniare dal campo per il Corriere che la battaglia sino a ieri nella prima serata continuava. Adesso andrà verificato se il cessate il fuoco mediato nelle ultime ore dagli Stati Uniti sarà davvero applicato. Ma a ieri pomeriggio possiamo dimostrare anche con video e foto che decisamente Ras Al Ayn non è caduta sotto il controllo dell’esercito turco e dei suoi alleati delle milizie sunnite siriane anti-Assad. Accetteranno adesso i curdi di ritirarsi? Sono i più deboli, probabilmente non hanno scelta, hanno perso. E’ il trionfo di Erdogan. Pare che per la notte i curdi stessero pensando di fare saltare i depositi di munizioni affinché non cadessero in mano turca prima di evacuare. Tacciono davvero le armi a dieci giorni dall’inizio della guerra? Oggi andrà verificato.

Ma per quello che abbiamo visto, a Ras al Ayn i due fronti si sono sparati contro anche con armi leggere proprio nel centro. Risuonano i colpi secchi delle mitragliatrici, ogni tanto il fragore delle bombe di grosso calibro; nel cielo volute di fumo nero da incendi freschi, che nessuno può spegnere. Le trincee, i tunnel, le imboscate sono tra forze che operano nello stesso territorio, si affrontano a pochi metri di distanza, giusto lo spazio di un tiro di granata. Siamo di fronte allo scontro violento in zona urbana tra un esercito regolare, ben fornito dal meglio della più aggiornata tecnologia bellica coadiuvato da unità di guerriglieri ben equipaggiate, e invece milizie locali che per storia, addestramento e vocazione sono abituate alla guerriglia tra le case.

Ras al Ayn è appoggiata al confine turco. Al cuore dell’abitato corre un alto muro grigio sovrastato da filo spinato con sensori e telecamere. Dalla parte turca c’è la cittadina di Ceylanpinar. L’esercito di Ankara l’ha svuotata di quasi tutti i suoi abitanti già nelle ore precedenti l’inizio dell’attacco il 9 ottobre. Da allora una ventina di civili turchi hanno perso la vita in seguito agli spari curdi verso il confine. Un argomento che serve ai portavoce militari turchi per bloccare la stampa locale e internazionale. Ma ieri per un attimo le sentinelle si sono forse distratte: siamo passati. E così, a ridosso del muro, non è stato difficile respirare l’atmosfera che impera a Ras al Ayn, dall’altra parte. Lo stesso muro, ma due prospettive radicalmente opposte. Una settimana fa vi eravamo arrivati seguendo i combattenti curdi in arrivo da Ain Issa e Tal Tamar, a sud del confine turco, dal cuore di Rojawa. Loro erano asserragliati in alcune grandi palazzi nelle periferie meridionali. Li utilizzavano come basi temporanee, pronti ad evacuarli se individuati dai droni armati turchi. Da lì ogni tanto partivano piccole pattuglie di soldati e soldatesse che camminavano rasenti i muri per raggiungere le postazioni nel centro. Hanno scavato tunnel, creato buchi nei muri tra le costruzioni limitrofe per potersi muovere restando riparati, non visibili dall’esterno. Sono le classiche tattiche delle battaglie urbane che hanno affinato mettendo a rischio le loro vite dal 2014 negli scontri contro Isis a Raqqa, Hasakah, Kobane, sino ai villaggi nella valle dell’Eufrate e l’ultimo bastione del Califfato tra febbraio e marzo di quest’anno a Baghouz. Nonostante ora siano diventate le alleate del governo di Bashar Assad e quindi anche della Russia di Putin, qui le forze curde sono sole. A differenza di Kobane e Manbij, a Ras al Ayn non c’è traccia delle bandiere dell’esercito nazionale siriano. Ieri per la prima volta Bashar Assad da Damasco ha personalmente accusato Erdogan di aver ordito «un’aggressione criminale» e promesso che il suo esercito «colpirà con ogni mezzo possibile». Ma per ora a pagare sono stati soprattutto i civili curdi. Oltre 220 morti secondo la Mezza Luna Rossa curda, che pubblica gli elenchi delle vittime. Le organizzazioni umanitarie internazionali hanno evacuato il personale straniero. Ma i medici curdi accusano il nemico di usare bombe al fosforo vietate dalle convenzioni internazionali, di sparare sulle ambulanze e gli ospedali.

Sorgente: La battaglia (impari) continua: 220 morti fra i curdi, Erdogan trionfa – Corriere.it

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