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Mentre il governo è a caccia di soldi depositati off-shore, l’Istat certifica che nel paese l’economia non osservata ha raggiunto il picco di 211 mld di euro, il 12,1% del pil (+1,5% rispetto all’anno precedente) tra economia sommersa (192 mld) e attività illegali per 19 mld

Mentre il governo Conte sta studiando il modo per rintracciare i soldi nascosti all’estero, 142 miliardi di euro, come scrive MF Milano Finanza, e nel frattempo il suo piano anti-evasione punta anche ad ampliare in Italia l’uso delle carte di pagamento, l’Istat, nel report L’economia non osservata nei conti nazionali certifica che nel paese l’economia non osservata ha raggiunto il picco di valore di 211 miliardi di euro con un aumento dell’1,5% rispetto all’anno precedente (207,7 miliardi), segnando una dinamica più lenta rispetto al complesso del valore aggiunto, cresciuto del 2,3%.

L’istituto di statistica, sulla base degli ultimi dati aggiornati al 2017, dettaglia questo dato: l’economia sommersa ammonta a poco meno di 192 miliardi di euro (di cui la sotto-dichiarazione vale 97 miliardi, l’impiego di lavoro irregolare 79 miliardi e le componenti residuali 16 miliardi) e le attività illegali a circa 19 miliardi.

L’incidenza sul pil si è perciò lievemente ridotta portandosi al 12,1% dal 12,2% nel 2016, e confermando la tendenza in atto dal 2014, anno in cui si era raggiunto un picco del 13%. La diminuzione rispetto al 2016 è interamente dovuta alla riduzione del peso della componente riferibile al sommerso economico (dal 11,2% al 11,1%), mentre l’incidenza dell’economia illegale resta stabile (1,1%).

Le risorse che sfuggono all’imposizione fiscale sono quindi superiori ai soldi depositati nei Paradisi fiscali esteri. La (parziale) buona notizia è che le stime per il 2017 confermano la tendenza alla riduzione dell’incidenza sul pil della componente non osservata dell’economia, dopo il picco del 2014 (13%).

Nel frattempo, però, sale il lavoro in nero: le unità di lavoro irregolari a tempo pieno nel 2017 sono 3,7 milioni, in crescita di 25 mila unità rispetto al 2016, occupate in prevalenza come dipendenti (2 milioni e 696 mila unità). L’aumento della componente non regolare (+0,7%) segna la ripresa di un fenomeno che nel 2016 si era invece attenuato (-0,7% rispetto al 2015).

Il ricorso al lavoro non regolare da parte di imprese e famiglie è, si legge nello studio dell’Istat, una caratteristica strutturale del mercato del lavoro italiano. Sono definite non regolari le posizioni lavorative svolte senza il rispetto della normativa vigente in materia fiscale-contributiva, quindi non osservabili direttamente presso le imprese, le istituzioni e le fonti amministrative.

Il tasso di irregolarità risulta stabile nell’ultimo biennio (15,5% nel 2016 e nel 2017) per effetto di una dinamica del lavoro non regolare in linea con quella del totale dell’input di lavoro. Il tasso di irregolarità è più elevato tra i dipendenti rispetto agli indipendenti (rispettivamente il 16,0% e il 14,2%).

Nell’insieme del periodo 2014-2017 il lavoro non regolare presenta una dinamica differenziata e opposta a quella che caratterizza il lavoro regolare: gli irregolari aumentano di circa 59 mila unità (+1,6%) mentre i regolari crescono di 603 mila unità (+3,1%), determinando un leggero calo del tasso di irregolarità (dal 15,6% osservato del 2014 al 15,5% del 2017).

L’Istat sottolinea che la diffusione del sommerso economico risulta essere legata al tipo di mercato di riferimento (e di rapporto fra cliente e fornitore) piuttosto che alla tipologia di bene/servizio prodotto. Il 41,7% si concentra nel settore del commercio all’ingrosso e al dettaglio, trasporti e magazzinaggio, attività di alloggio e ristorazione, dove si genera il 21,4% del valore aggiunto totale.

A livello settoriale si evidenzia che il ricorso alla sotto-dichiarazione del valore aggiunto ha un ruolo significativo nel commercio, trasporti, alloggio e ristorazione, dove rappresenta il 13,2% del valore aggiunto del comparto, nelle costruzioni (11,9%) e nei servizi professionali (11,6%). Il fenomeno risulta meno rilevante nelle attività connesse alla produzione di beni alimentari e di consumo (9,2% del totale del settore), alla produzione di beni di investimento (2,4%) ed è solo marginale nella produzione di beni intermedi, energia e rifiuti (0,5%).

L’impiego di lavoro irregolare ha un peso particolarmente rilevante, pari al 22,7% del valore aggiunto, negli altri servizi per la persona, dove è forte l’incidenza del lavoro domestico, mentre il suo contributo risulta molto limitato nei tre comparti dell’industria in senso stretto (tra l’1,1% e il 3%) e negli altri servizi alle imprese (1,7%). Nel settore primario il valore aggiunto sommerso è generato solo dall’impiego di lavoro irregolare, che rappresenta il 16,9% del totale prodotto dal settore.

Analogamente l’incidenza relativa del ricorso al sommerso è alta negli altri servizi alle persone ed è pari al 12,3% del sommerso economico, pur contribuendo il settore solo per il 4,1% alla formazione del valore aggiunto totale. All’opposto, il settore degli altri servizi alle imprese contribuisce al valore aggiunto dell’intera economia per il 27,2% mentre il suo peso in termini di sommerso è del 12,7%. Anche le attività di produzione di beni intermedi e le attività di produzione di beni di investimento contribuiscono all’economia sommersa in misura più ridotta (0,8% e 2,1% rispettivamente) che al valore aggiunto complessivo (6,4% e 6,7%).

Sorgente: Il paradiso fiscale? Tra sommerso ed economia illegale è in Italia – MilanoFinanza.it

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