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A dieci giorni dall’inizio della protesta, le strade del centro della capitale cilena sono di nuovo in fiamme. Al presidente Piñera non è bastato cambiare otto ministri e fermare il coprifuoco

dal nostro inviato MARCO MENSURATI

Santiago brucia ancora. A dieci giorni dall’inizio della fase più violenta delle proteste, le strade del centro della capitale cilena sono di nuovo in fiamme. Alle otto della sera, un hotel internazionale (della catena Mercure) e un centro commerciale, entrambi sull’Alameda – l’arteria principale della città – erano circondati da una fitta cortina di fumo nero, talmente denso che i lampeggianti dei vigili del fuoco filtravano a malapena. Contemporaneamente, in decine di altri punti strategici del paese – non solo a Santiago, dunque – andavano in scena le scene che siamo stati abituati a vedere negli ultimi giorni: barricate, saccheggi e scontri a viso coperto con i carabineros.

La colonna di fumo che al termine di una giornata interminabile copriva il cielo della capitale era di fatto il messaggio che la piazza ha mandato a Sebastián Piñera e al suo tentativo di riportare il paese alla normalità.

Il presidente, dopo la manifestazione oceanica e pacifica di venerdì scorso (quasi due milioni di persone ha partecipato a quella che è già passata alla storia come “la marcia più grande di sempre”), aveva deciso di togliere il coprifuoco e di dichiarare cessato lo stato di emergenza. Dal punto di vista politico aveva annunciato un importante rimpasto del governo e l’inaugurazione di una “agenda sociale” per andare incontro alle richieste della popolazione. Il rimpasto è stato ufficializzato ieri, sono saltati otto ministri.

La mossa però non ha ottenuto il risultato sperato. Anzi, è stata considerata una misura del tutto insufficiente dai manifestanti. Sia da quelli pacifici che si sono riuniti a migliaia in plaza Italia proprio mentre il governo giurava al la Moneda; sia da quelli violenti che, involontariamente coperti dal corteo pacifico, hanno devastato nuovamente la città cercando di raggiungere il palazzo del governo.

“Piñera deve andare via – spiegava Emilio, un ragazzo di 23 anni, studente alla facoltà di Legge, uno dei manifestanti in plaza Italia – Va via lui, poi cominciamo a ragionare di politica. Deve avere rispetto del popolo: prima ha represso la piazza con il coprifuoco e i carabineros, poi l’ha criminalizzata dicendo di essere in guerra contro un nemico pronto a tutto, e adesso ci vuole strumentalizzare per cacciare quattro pupazzi e cambiarli con altri quattro pupazzi. Cambiare tutto per non cambiare niente si dice, no?  La verità è che Piñera ha una precisa responsabilità politica per tutto questo: se la deve assumere”.

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L’impressione è che, partita come una forma di protesta contro l’aumento del costo del biglietto della metro, cresciuta come una sorta di battaglia per una nuova costituzione, la guerra di Santiago si stia trasformando di giorno in giorno in una sorta di redde rationem del popolo contro l’élite. Una guerra alimentata anche dai metodi brutali adottati da carabineros e militari nei giorni scorsi, con non pochi casi di torture e violenze sessuali denunciati dagli arrestati nelle caserme di tutto il paese.

A tarda sera, il nuovo portavoce del governo, Karla Rubilar (anche lei nominata nell’ambito del rimpasto) è intervenuta per escludere formalmente “il ritorno del coprifuoco e dello stato d’emergenza”. La Rubilar ha cercato di evitare i toni usati una settimana fa da Piñera quando disse che “il paese era in guerra” ma ha cercato di distinguere tra la piazza di venerdì e quella di ieri sera: “Quella di venerdì era una marcia giusta e pacifica. Questa invece è stata convocata sabato come “la marcia dei guerriglieri” e aveva l’unico obbiettivo di distruggere tutto. Stiamo parlando di una minoranza di persone, gente che noi combatteremo con tutte le nostre forze, con i carabineros, con la procura, con la polizia di investigazione.  E alla fine vinceremo, li identificheremo e li condanneremo. E a questo proposito lancio un appello a tutte le forze politiche che condannino ogni forma di violenza”.

Sorgente: Cile, nuovi scontri davanti al Palazzo del governo: bruciati hotel e centri commerciali – Repubblica.it

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