0 4 minuti 5 anni

di Sandokan

Che Salvini, sfiduciando e quindi causando la caduta del governo giallo-verde abbia fatto un enorme cazzata tattica mi pare sia oramai fuori discussione.
Abbiamo tentato di mostrare come i ragionamenti con cui i suoi followers per assolverlo e giustificarlo facciano acqua da tutte le parti.
C’era un complotto dei poteri forti per far cadere il governo giallo-verde? A maggior ragione la sua mossa è stata un clamoroso autogol.
L’errore che compiono i filo-salviniani è nel manico.
Infatuati dalle sue modalità comunicative populiste si rifiutano di risalire alla causa vera della sua mossa.
Proviamo dunque a scoprire qual è questa causa, che tra l’altro svela la doppiezza del populismo salviniano.

Ricordiamo anzitutto che subito dopo le europee non furono Bagnai o Borghi a dire che occorreva andare alla elezioni anticipate ponendo fine all’alleanza coi Cinque Stelle. Per la precisione fu Giorgetti (che sparò a zero anche contro i mini-Bot), spalleggiato dai due governatori di Lombardia e Veneto.
Ed in nome di quale visione e di quali interessi questo potente pezzo della Lega chiamava a porre fine all’esperienza giallo-verde?

Questo pezzo della Lega non aveva digerito il “Decreto Dignità”, lanciò strali contro il Reddito di Cittadinanza, condannava come “assistenzialista” la politica di Di Maio, denunciava coma statalista la linea dei Cinque Stelle su Autostrade, Alitalia, Ilva di Taranto. Rinnegava la vecchia posizione anti-Tav facendo del Sì alle grandi opere la propria bandiera. Ricordiamo le “madamine” e le mobilitazioni di piazza Sì-Tav che vedeva assieme Lega, Pd e Confidustria. Infine premeva per accelerare la cosiddetta  e anti-nazionale “autonomia differenziata”.

Il messaggio era chiaro: più mercato e meno stato. In estrema sintesi LIBERISMO.
Domandiamoci: chi c’era dietro all’ala giorgettiana? Di quali interessi sociali essa si faceva garante? La risposta è semplice: della grande borghesia, anzitutto quella padana. Non è certo un mistero che questa grande borghesia non abbia mai gradito il governo giallo-verde.

Salvini fino all’ultimo è sembrato tenere testa a queste pressioni, giurando più volte che mai avrebbe rotto l’alleanza coi Cinque Stelle. Poi ha finito per capitolare all’ala liberista.

Torniamo infatti ai giorni cruciali in cui Salvini ha annunciato il ritiro della fiducia. Quale è stato il messaggio fondamentale? Denunciava con veemenza i Cinque Stelle come “il partito dei no” e presentava la Lega come il “partito del sì” — un classico del simbolismo  liberista.

Quale fosse il senso è evidente: sposare gli interessi della grande borghesia, mostrare che si accettava la visione liberista della “crescita”, per cui, parole di Salvini, “è l’impresa privata che crea lavoro e ricchezza, non lo Stato”. Idea liberista ortodossa.

Che poi Salvini abbia creduto al Pd di Zingaretti, che quindi avrebbe ottenuto facilmente le agognate elezioni anticipate, a me pare un fatto secondario, che per altro aggrava la sua posizione.

Va da sé che il voto dei Cinque Stelle per la Von Der Leyen è stato un gesto grave e vergognoso. Anche i grillini si mettevano a inseguire la Lega nella gara per ottenere la benevolenza dei poteri forti. Era un assist prezioso a Salvini, che egli userà infatti per camuffare le vere ragioni per cui ha fatto cadere il governo giallo-verde.

Sorgente: sollevazione: SALVINI E IL MISTERO POCO BUFFO di Sandokan

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