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Non credo che i fascisti e neofascisti abbiano diritto ad esprimere le proprie opinioni.

Come stabilisce il paradosso della tolleranza di Karl Popper, se si vuole garantire la tolleranza nella società aperta è necessario essere intollerante nei confronti dell’intolleranza.

Non credo, ad esempio, che i neofascisti debbano avere diritto di parola nei dibattiti politici e quando sono stato invitato a confronti in cui era prevista la loro presenza ho rifiutato l’invito.

Credo vadano sgomberate le loro sedi, non perché occupate illegalmente, ma perché sono luoghi di odio e violenza (come stabilito in occasione della chiusura della sede barese di Casa Pound dopo l’aggressione subita un anno fa).

Ho ripetutamente segnalato i loro post carichi di odio, fake news e razzismo per arginare la loro diffusione.

Detto però devo dire che la mia idea di lotta politica ai neofascisti non è proprio quella cui assistiamo oggi. Preoccupa infatti la discrezionalità con cui può essere chiusa ogni pagina da parte di una grande corporation, sostanzialmente monopolista delle piattaforme social e della messaggistica, principale attore insieme a Google della raccolta pubblicitaria on line, società che detiene una mole enorme di dati sensibili e che ha una posizione dominante in quel grande mercato che è la discussione pubblica e che è determinante nella formazione delle opinioni.

Mentre la nostra Costituzione stabilisce specifici limiti all’attività fascista, qui non si parla di una specifica matrice politica reputata incompatibile, ma di generico odio.

È incitazione all’odio l’attacco ai padroni delle fabbriche e dei cantieri che ignorano la normativa sulla sicurezza sul lavoro?

È incitazione all’odio l’attacco politico ai grandi padroni della Silicon Valley che fanno profitti sui nostri dati? Potrei fare mille esempi di post e contenuti che costantemente vengono censurati senza possibilità di appello da Facebook perché violano i loro generici standard.

Chi decide cosa è «tema sensibile»? Qual è il nome del dipendente di Facebook con base in Portogallo o Irlanda che ha deciso di bannare un post perché «viola gli standard»? Chi decide cosa alimenta odio e cosa è lotta politica?

Per questo motivo e per questa mia forte critica al «capitalismo delle piattaforme» credo che chi in questi anni – specialmente «da sinistra» – si è affidato all’idea che per arginare l’odio e le fake news bisognasse delegare il tutto a Zuckerberg e soci, sbagliasse e di grosso.

Serve arginare il monopolio delle piattaforme, e lottare nella società contro fascisti e razzisti. Non sperare che le piattaforme e i loro gestori possano portare avanti la lotta antifascista.

Oggi censurano i fasci, domani magari toccherà. noi e fino a quando saremo totalmente dipendenti da queste piattaforme, nella nostra quotidianità e nella comunicazione politica, la nostra libertà sarà limitata.

P.S. Ovviamente tutto sto pippone non toglie che sorrido moltissimo nell’immaginare la scena nei loro covi quando si sono visti disattivare tutti i loro profili. Tiè! ?

Sorgente: https://medium.com/@claudioriccio/possiamo-davvero-delegare-a-facebook-la-censura-antifascista-ba77e8232697

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