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Trasformare l’ex colonia britannica in una nuova Tienanmen ha un costo troppo alto per Xi Jinping. Impegnato a costruire una nuova leadership globale. Mentre si avvicinano le elezioni a Taiwan, un altro territorio che la Cina vorrebbe vedere riunificato.

Poco prima che Hong Kong tornasse sotto la sovranità cinese, nel 1997, un team di scienziati comportamentali condusse, nell’ancora per poco colonia britannica, un affascinante esperimentoYing-yi Hong e alcuni colleghi reclutarono degli studenti universitari locali e mostrarono loro una serie di immagini iconiche provenienti dall’America (Topolino, un cowboy) o dalla Cina (il Re delle scimmie, un drago). Quindi posero loro domande volte a stimolare i loro valori e i loro principi. I risultati rivelarono che, a seconda delle immagini presentate, gli studenti erano in grado di passare rapidamente dalla visione del mondo cinese a quella occidentale.

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Biglietti appesi in metropolitana per sostenere i manifestanti.

LA RIVENDICAZIONE DELL’IDENTITÀ HONGKONGHESE

Ventidue anni dopo, i fratelli minori o figli dei protagonisti di quel curioso esperimento si descrivono in modo schiacciante come hongkonghesi piuttosto che come cinesi. Il loro risentimento per il crescente coinvolgimento del Partito comunista nella loro politica e nella loro cultura ha alimentato l’incendio che sta bruciando l’ex colonia attraverso le proteste che non accennano a placarsi ormai da più di tre mesi.

LE RICHIESTE DEI MANIFESTANTI

Iniziate a giugno, in risposta a una proposta di legge sull’estradizione che ormai la contestatissima governatrice Carrie Lam ha accettato di ritirare, si sono estese fino a diventare un movimento di ampia portata, sotto lo slogan «Riprendiamoci Hong Kong». Sugli striscioni e sui muri della città campeggia una frase che fa capire l’entità della posta in gioco: «Se noi bruciamo, tu bruci con noi», scrivono i manifestanti rivolgendosi a Pechino, ma in fondo rivolgendosi un po’ al mondo intero. E la recente decisione della governatrice di accogliere la prima delle richieste dei manifestanti, il ritiro dl progetto di legge sull’estradizione, appunto, impone una riflessione su quanto sta accadendo e su quanto accadrà. Perché la decisione di Lam non si sa se definirla più inutile o più tardiva.

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hong kong proteste dimissioni cerrie lam

La governatrice di Hong Kong Carrie Lam.

I manifestanti infatti hanno già detto che non intendono mollare, e chiedono ormai senza incertezze che vengano accolte tutte le loro cinque richieste, compresa la messa in opera di indigeribili – almeno per Pechino – libere elezioni dei propri rappresentanti a suffragio universale. Un’eresia che il Partito comunista al potere difficilmente potrà nemmeno immaginare e tantomeno concedere.

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Sorgente: Perché alla Cina non conviene usare la violenza a Hong Kong – Lettera43

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