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La normativa sul Codice rosso per tutelare le donne rischia di mandare in tilt le procure e generare indagini infruttuose

Di buone intenzioni sono lastricati molti fascicoli giudiziari che si accumulano negli uffici dei tribunali, intasandoli. L’ultima riguarda il Codice rosso per le vittime di molestie, stalking e altri reati nei quali un soggetto debole subisce abusi. La nuova legge contro il porn-revenge prevede che il magistrato della procura sia avvisato subito e che entro tre giorni disponga l’accertamento.

Sulla carta, perfetto. Ma tra le trenta, quaranta segnalazioni a settimana di Milano esistono un bel po’ di casi delicati, nei quali le indagini a tambur battente possono essere controproducenti: spesso si dispongono le intercettazioni, si raggiungono prove che vadano al di là delle testimonianze e, solo allora, si organizza il cosiddetto “incidente probatorio” davanti al giudice. Si procede così in modo che il presunto colpevole, se vero colpevole, abbia poco margine di manovra: se si andasse avanti come da rigido Codice rosso, le prove potrebbero andar perse.

Nel recente passato, un’altra norma animata dal maggior rispetto per il cittadino è diventata ricettacolo di maledizioni negli uffici finché, come accade nel Paese dell’arte d’arrangiarsi, il buon senso l’ha annullata. Era diventato obbligatorio l’avviso della richiesta d’archiviazione alle “persone offese” per i furti in appartamento e gli scippi. Cioè, in base alla legge, alla vittima bisogna far sapere che non s’è trovato il colpevole e si archivia. Giusto? Se non fosse che in procure come quella di Milano, si iscrivono circa mille furti al mese in casa e mille in strada. Quindi, ci dovrebbero essere duemila notifiche mensili del tutto inutili e una montagna tale di carte da seppellire le cancellerie. In Parlamento si sono accorti dell’errore, nel frattempo era stato trovato un rimedio dagli stessi magistrati: quando fa denuncia, la vittima dichiara di non volere la notifica dell’archiviazione.

Si ha insomma la sensazione che in Italia esista uno spartiacque tra chi fa le leggi penali e chi poi deve applicarle. L’apice s’era toccato, lo si ricorderà, con Silvio Berlusconi e le leggi ad personam: un sistema grazie al quale il centrodestra cercava di eliminare (con la riforma dell’abuso d’ufficio, le prescrizioni, il carcere oltre una certa età) i rischi giudiziari del leader e del suo stretto giro. La Cassazione spesso cancellava e riformava, nel frattempo s’era guadagnato tempo utile. Oggi, che non sembrano esserci analoghi interessi oscuri da tutelare, gli errori di prospettiva continuano. Ad esempio con le cosiddette avocazioni.

È stato stabilito che scaduti tre mesi dalla fine indagini senza che il fascicolo abbia fatto passi avanti, il procuratore generale deve avocare il procedimento e la procura, visto che il sistema informatico non registra la scadenza delle indagini, deve fornire alla procura generale le varie segnalazioni. Per evitare di aprire un fascicolo ogni volta che c’è un ritardo, s’è però deciso di comune accordo di inviare le segnalazioni solo su reati gravi e solo segnalazioni “ragionate”: nelle quali si spiega che il fascicolo non è chiuso per un’inerzia colpevole, ma per ragioni fisiologiche. Perché si è in attesa di perizie, consulenze, della relazione di conclusione.

Si va avanti, a strappi, come in un altro caso di ottima intenzione trascolorata nella pratica quotidiana in un ginepraio: quando c’è un incidente stradale, con lesioni superiori ai 40 giorni, bisogna procedere d’ufficio, cioè il fascicolo deve finire nelle mani della procura. L’idea era tutelare le vittime, l’effetto è che sarebbero aumentati i certificati medici con lesioni superiori ai 40 giorni. E l’ingolfamento delle scrivanie ricorda a volte le autostrade nei giorni dell’esodo.

Sorgente: Giustizia, le riforme autogol | Rep


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