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Sinistra. Incontri informali, una rete e iniziative comuni. Per buttarsi alle spalle l’era delle divisioni

Daniela Preziosi

Incontri fra «compagni» che da tempo avevano chiuso i rapporti. Spesso si erano lasciati male, come da tradizione della sinistra. Ma nella rete che cercheremo di descrivere non ci sono solo i protagonisti delle sinistre andate, bene o male a seconda dei casi. Ci sono anche giovani come Amedeo Ciaccheri, combat minisindaco di Roma. E Pietro Bartolo, il popolare medico di Lampedusa (un vero exploit alle europee, quasi 260mila preferenze fra la circoscrizione centro e le isole). C’è Massimo Zedda, due volte sindaco di Cagliari e ora capo dell’opposizione alla Regione Sardegna. Ci sono Giuliano Pisapia ma anche Beppe Sala. E ci sono alcune personalità dei 5 stelle, che liberate dall’alleato leghista ora non disdegnano il confronto a sinistra.

PER ORA SONO PER LO PIÙ occasioni informali. Dall’indomani della nascita del governo cosiddetto giallorosso, e grazie ad esso, nel deserto della sinistra rispunta qualche filo d’erba. Per sapere se sboccerà qualcosa è presto. Eppure nei discorsi affiorano pezzi di ragionamenti, frammenti di un discorso amoroso, si potrebbero definire con una citazione generosa.

ROSSELLA MURONI, legambientalista oggi deputata di Leu, ma non intruppata nelle famiglie di provenienza (Sinistra italiana e Art.1) parla «di riunioni informali, discussioni in chat. C’è un gruppo di ex candidate delle liste di Europa Verde e La sinistra che, dopo il voto europeo, ha cominciato a ragionare insieme. Un collettivo di cattive ragazze, potremmo dire. L’idea è costruire un percorso mantenendo i valori della sinistra ma con forti innesti ecologisti, trasformati però in questioni popolari e non elitarie, come fin qui sono state percepite in Italia. I ragazzi e le ragazze del Friday for future ci indicano la strada. Il nostro è un laboratorio politico. Ma non precipitiamo in un oggetto preciso. Facciamo quello che abbiamo sempre detto e mai praticato: partiamo dai contenuti e non dai contenitori. È nato il nuovo governo: ora faccia scelte concrete verso una nuova economia verde. ’Green new deal’ fin qui è solo uno slogan». RAGIONANDO

PROPRIO sui movimenti ecologisti e femministi che si sono opposti al governo gialloverde, l’ex eurodeputata Elly Schlein, considerata da molti una leader emergente, ha scritto sull’Espresso: c’è «un risveglio civico che aspetta ancora una casa comune, credibile. Ecologista, progressista e femminista insieme».

DI «PATRIMONIALE VERDE, più inquini più paghi» parla Massimiliano Smeriglio, eurodeputato eletto nella lista Pd, il primo a parlare di «disgelo» fra Pd e 5 stelle quando fra i dem era una bestemmia: «Abbiamo fatto bene a prendere sul serio la deriva autoritaria interpretata da Salvini. La cifra post democratica è oggi egemone nel mondo. La democrazia è un orpello inutile, scambiato per costo della politica», ragiona. «Da qui dobbiamo ricominciare. La sinistra, dopo essersi imbottita di candelotti e fatta esplodere, ora ha capito che deve ricominciare con umiltà. Tenendo il campo, con spirito di unità ma con il massimo di autonomia. Insomma quello che doveva essere Sinistra ecologia e libertà fino in fondo».

Il riferimento è a Sel, che subì una scissione al congresso di Rimini del febbraio 2017 proprio sul tema delle possibili alleanze con il Pd. Il nuovo segretario di Sinistra itali, Nicola Fratoianni, le escluse. Poi è andata così: da una parte la rete che si è avvicinata al Pd, dall’altra Sinistra italiana che, con Leu, alle politiche 2018 prende poco più del 3 per cento, e con La Sinistra alle europee del 2019 precipita all’1,75. «Ora che la tenuta democratica è assicurata, la ricostruzione della sinistra passa per una impresa difficile», continua Smeriglio: «Connotare socialmente, un tempo avremmo detto di classe, l’azione del governo in carica: la riunificazione dei diritti civili sociali e umani, la conversione ecologica dell’economia. E una ’Sherwood Tax’: chi più ha più deve pagare», «Serve da subito un coordinamento e un’elaborazione comune per tutti quelli che, interni e esterni al Pd e alle altre formazioni, hanno voglia di ricostruire un punto di vista della sinistra che non sappia di polvere e conservazione. Renzi non va preso sottogamba, ha avuto coraggio. Farà una formazione moderata, ma con forme e linguaggi contemporanei. Noi non possiamo fare i portabandiera della nostalgia».

DISCORSO NON LONTANO da quello di Fratoianni, segretario dimissionario di Si, che oggi riunisce la direzione per avviare il congresso. «Oggi più di prima serve una sinistra innovativa e non accessoria, unitaria contro l’onda nazionalista ma che mantenga un presidio di radicalità. Abbiamo detto sì al governo con M5S e Pd, non tanto per quello che c’è – ancora poco – ma per la dinamica politica che può produrre. L’uscita di Renzi dal Pd accentua questa dinamica». Tentazioni di avvicinamento ai dem? «Tutto il contrario. Anche perché la prima reazione di Zingaretti dopo la scissione di Renzi è stata quella di ’coprirsi a destra’, esibendo l’iscrizione dell’ex ministra alfaniana Lorenzin».

MA LA STRADA FUTURA deve rompere con il passato. «Per capirci», continua Fratoianni, «nessuna costituente, nessuna accelerazione verso un soggetto. Serve una rete, uno spazio comune dove animare una discussione. Plurale, curiosa, libera nella ricerca». In concreto? «Il professore Pasquale Tridico ha rilanciato il dibattito sull’orario di lavoro. Possiamo discuterne pubblicamente? Il Pd che oggi annuncia una svolta, è in grado di superare i tabù del trentennio che si è chiuso?».

AL DI LÀ DELLE «35 ORE» di memoria bertinottiana – la parola d’ordine con cui il Prc pungolò il primo governo Prodi – il sistema elettorale proporzionale all’orizzonte consiglia di prendere molto sul serio la questione della fine della frammentazione a sinistra. Ma con una legge maggioritaria il tema si porrebbe anche con più forza. Certo, nel primo caso il «campo» sarebbe la coalizione. Nel secondo fatalmente il Pd. Questione non piccola. L’anniversario della svolta della Bolognina, che segnò la rottura del Pci in – almeno – due sinistre, stavolta potrebbe segnare non certo il ritorno all’antica unità, ma almeno una controtendenza. Trent’anni dopo, e non è detto che siano abbastanza.

Sorgente: il manifesto

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