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Se esiste un paradiso che ha la forma dei desideri più profondi, Camilleri è a quel tavolo a gustarsi l’eternità e la migliore cucina dell’ aldilà insieme ai suoi personaggi immortali

L’ultima volta che ho pranzato o cenato nel ristorante preferito di Montalban a Barcellona (Montalban – Casa Jose: l’ho fatto tre volte) mi sono immaginato la scena fantastica di una tavolata in cui a gustare i cannolicchi, il polipo e gli scampi, l’astice, la paella e il “suquet con langosta”, ad affettare il prosciutto e a versare lo Chablis e il Fefiñanes (uno dei bianchi preferiti di Pepe Carvalho, protagonista dei libri dello scrittore catalano), fossero proprio loro, i due scrittori con i loro personaggi: Montalban e Cammileri, Pepe e Luca-Zingaretti-Montalbano-sono.

Non li vedevo parlare, in questa personale fantasticheria, ma lavorare con dedizione e silenziosa voluttà alla estrazione e masticazione, al gusto e al piacere del cibo. Il locale è sempre tranquillo, benché molto noto. Il servizio è addestrato a trattare chiunque con la stessa discrezione e devozione.

Nella mia fantasia Pepe fissava ogni tanto gli altri, Montalbano/Zingaretti lo guardava dall’alto in basso – un gesto che l’attore ha reso scrittura del personaggio – ma i due autori narratori, creatori di due tra i più grandi personaggi polizieschi del Mediterraneo – giusto per limitare un po’ il superlativo – non scrutavano nessuno dei due personaggi da loro creati. A volte, sorseggiando, incrociavano lo sguardo nascondendo l’estasi inconfessabile del pasto con un sorriso che registrava le delicate raffiche di felicità che precedono la peristalsi in azione.

Non sono stati certo i primi due scrittori a introdurre l’alimentazione nel set caratteristico del noir – pensiamo ai panini, al rognone, alle birre, al Calvados di Maigret – ma è indubbio che, in entrambi i personaggi, è difficile separare l’ arte deduttiva dalla cucina, lo sdegno per il delitto dalla gola.

La cucina di Camilleri, in realtà, quando arriva a creare il più fortunato investigatore della letteratura italiana, è già ricca di qualsiasi ricetta e di ogni strumento, stoviglia e cuccuma. Prima di diventare il più venduto scrittore in lingua italiana, Andrea Camilleri – come ha raccontato più volte dal vivo – ha gustato ed esplorato il firmamento della cultura, della scrittura, della messa in scena, dei media come raramente gli intellettuali come lui, nati negli anni ’20, hanno saputo fare con desiderio e curiosità – il tutto dopo essere stato sonoramente rifiutato, con il suo primo romanzo, da una impressionante quantità di editori.

Diventa allievo del corso di regia all’Accademia Drammatica Silvio D’Amico – era impagabile sentire raccontare da lui il modo in cui aveva scoperto di essere anche l’unico – vince un concorso in Rai come funzionario, è il primo a mettere in scena Beckett in Italia, il primo ad affrontare la delicata, e complessa, sfida di come registrare in video le commedie di Eduardo insieme a lui. Dovunque arrivasse, Camilleri sembrava affrontare ogni problema con curiosità, pazienza, sornione stoicismo e fermezza. Non sono le qualità tipiche che hanno consentito al suo piu’ importante personaggio, il commissario Montalbano, di vendere piu’ di 20 milioni di copie e di raggiungere un pubblico ancora più vasto con l’unica serie della tv italiana degli ultimi vent’anni che abbia raggiunto un simile record di longevità?

Camilleri ha saputo adottare il plurilinguismo, lo strumento prediletto dalla commedia all’italiana e da un gigante come Gadda, mixando dialetto e italiano, per dare forma al suo noir, ha saputo praticare televisione e teatro senza confonderli, è nato in un Paese fascista e lo ha lasciato per sempre prefascista – una storia che avrebbe meritato uno scrittore come lui per essere raccontata con la stessa ironia e lo stesso sconcerto che non ha nascosto nelle sue ultime prese di posizioni – ma non ha mai cessato di amare due cose. La moglie e il proprio appetito. Per le parole, le storie, la scena, il racconto e l’infinità della vita che riescono a trattenere e restituire.

Per questo, ora, quella fantasia, in cui continua, senza fretta, a divaricare una cozza o a succhiare da un guscio, insieme allo scrittore che ha amato così tanto da dare il suo nome al suo Commissario, insieme ai due personaggi immortali che hanno creato, non mi sembra più una semplice reverie. Se esiste un paradiso che ha la forma dei desideri più profondi, Camilleri è a quel tavolo a gustarsi l’eternità e la migliore cucina dell’ aldilà insieme a loro.

Sorgente: Un gigante nato in un Paese fascista che lascia un Paese prefascista | L’HuffPost

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