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Sono passati cinque mesi dalle proteste degli allevatori sardi contro il crollo del prezzo del latte di capra e di pecora: se ne era parlato molto, lo scorso febbraio, perché in alcuni casi le proteste erano state particolarmente aggressive e vistose, con blocchi stradali, manifestazioni e minacce verso chi non protestava, e perché la questione del latte era diventata centrale anche per le elezioni regionali, poi vinte da Christian Solinas, di centrodestra e sostenuto dalla Lega.

Durante la campagna elettorale, a seguito delle proteste, il ministro dell’Interno Matteo Salvini e il ministro delle Politiche agricole Gian Marco Centinaio, entrambi leghisti, avevano incontrato a Roma una delegazione di pastori insieme a rappresentanti di consorzi, imprenditori, cooperative e industriali. Salvini aveva promesso che avrebbe trovato «una soluzione entro 48 ore per restituire dignità e lavoro ai sardi», e che non si sarebbe alzato dal tavolo delle trattative finché il prezzo del latte non fosse passato da 60 centesimi a 1 euro al litro. Non è successo.

Poiché le promesse non sono state mantenute, i pastori hanno fatto sapere di essere pronti a riprendere la protesta. Chiedono che il latte di capra e di pecora – venduto prevalentemente all’industria casearia – venga pagato di più ai produttori, e sostengono che i grandi produttori di formaggi si siano accordati per fare abbassare i prezzi del latte. A febbraio il prezzo era crollato a 60 centesimi al litro, non sufficiente secondo loro nemmeno a coprire le spese di produzione.

Il calo del prezzo era legato in particolare all’andamento del mercato del Pecorino Romano DOP, per la cui produzione viene impiegata più della metà di tutto il latte prodotto in Sardegna. Quando il prezzo del Pecorino Romano sale, come era successo due anni fa, sale anche il prezzo del latte; quando il prezzo del Pecorino Romano scende, scende anche il prezzo del latte. La produzione di Pecorino Romano, proprio per evitare grosse oscillazioni dei prezzi, è regolata da quote che vengono stabilite ogni anno, ma che secondo gli allevatori non vengono rispettate da molti caseifici anche per via delle multe molto basse. L’eccessiva produzione di Pecorino degli ultimi anni, spinta dagli alti prezzi che aveva raggiunto il prodotto, ha fatto poi accumulare a moltissimi caseifici grandi scorte di formaggio invenduto: questo in pochi mesi aveva fatto drasticamente abbassare i prezzi del prodotto al consumo, con conseguenze arrivate fino ai produttori di latte.

Dopo le manifestazioni dello scorso febbraio e l’incontro con Salvini, in prefettura a Sassari era stata avviata una trattativa tra pastori e industriali ed era stato trovato un accordo sul prezzo del latte: 74 centesimi al litro come forma di acconto, con l’impegno di un conguaglio a novembre in base al prezzo di mercato del Pecorino. I portavoce della protesta, Nenneddu Sanna e Gianuario Falchi, avevano fatto sapere di aver firmato quell’accordo «per senso di responsabilità, non perché soddisfatti». Avevano spiegato che oltre al prezzo del latte avevano avanzato anche altre richieste e che comunque quell’accordo doveva essere considerato un primo passaggio verso una riforma più generale della filiera produttiva.

All’inizio di luglio il Movimento pastori sardi ha ricominciato a riorganizzarsi. «Si stanno ricreando nel mondo delle campagne umori paragonabili a quelli che i pastori hanno già vissuto nel mese di febbraio, momento in cui è scoppiata la protesta. C’è una forte probabilità che la gente possa tornare in strada sino a quando non si avviino le riforme che abbiamo chiesto con forza per costruire un sistema sano in cui chi produce latte crudo possa metterlo sul mercato e cederlo ai trasformatori che sono in grado di valorizzarlo e remunerarlo in maniera equa», hanno fatto sapere. A questo si sono sommate anche altre questioni: sono arrivate le denunce a chi, lo scorso febbraio, aveva protestato; il presidente del consorzio del Pecorino Romano DOP dopo le dimissioni è tornato in carica; il prezzo del formaggio, a cui erano agganciati gli aumenti di novembre, è rimasto fermo (i conguagli non arriveranno dunque all’euro promesso). Infine, l’inchiesta sul prezzo del latte sardo avviato dall’Antitrust nei confronti del Consorzio per la tutela del formaggio Pecorino Romano – per verificare se fosse stato imposto agli allevatori un prezzo di cessione del latte al di sotto dei costi medi di produzione – si è chiusa con un nulla di fatto. Per l’Antitrust, visto che si è trovato un accordo, sono venuti meno i presupposti per le contestazioni di pratiche commerciali sleali.

Uno dei portavoce del Movimento, intervistato su Lettera 43, ha spiegato: «Mi chiedo com’è possibile che non si vogliano scoprire le responsabilità della crisi di un intero settore. Che senso ha insabbiare tutto?». Ha detto che in Consiglio regionale non si parla di loro ma solo di vitalizi, e rispondendo a una domanda diretta sugli impegni presi da Salvini ha dichiarato: «Siamo stanchi e delusi da tutti, presi in giro. Però basta con questo ritornello che abbiamo votato Salvini e che quindi “ben ci sta”, come leggiamo ogni giorno sui social, anche nel nostro gruppo Facebook». Sulla ripresa delle proteste: «Aspettiamo le assemblee, ma l’umore è davvero a terra».

Sorgente: Le promesse elettorali fatte ai pastori sardi non sono state mantenute – Il Post

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