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La Cina, che ha messo la salvaguardia Huawei come priorità, si concentra sulla crescita di lungo periodo. Gli Stati Uniti, nonostante siano i maggiori compratori di prodotti cinesi nonché fornitori esclusivi di tecnologie critiche, hanno obiettivi che sembrano meno definiti

di Greg Ip – traduzione di Giulia Donati

Durante le negoziazioni commerciali intrattenute con la Cina, c’era da aspettarsi che gli Usa avessero il peso maggiore. D’altronde, sono i maggiori compratori di prodotti cinesi, nonché i fornitori esclusivi di tecnologie critiche, oltre che a ispirare lealtà più di qualunque altro Paese al mondo. Ma la Cina può contare su un importante vantaggio, ovvero la chiarezza di intenti. Nonostante le sue priorità siano cambiate nel corso delle trattative, il suo obiettivo pluridecennale non sembra essersi modificato: la Cina intende proseguire nella sua lenta scalata allo sviluppo senza smettere di essere una nazione a partito unico.

E i divieti nordamericani sulla fornitura a Huawei Technologies di fattori produttivi fondamentali hanno rappresentato una minaccia esistenziale al raggiungimento del prossimo stadio di questo sviluppo, che prevede la competizione a livello globale nel campo dell’alta tecnologia. Quindi, quando lo scorso fine settimana il Presidente Xi Jinping ha incontrato il Presidente Trump a margine del summit di Osaka (Giappone) del G-20, la sua condizione principale per il riavvio del dialogo è stata la rimozione delle proibizioni.

Da parte loro, i leader Usa sono da lungo tempo divisi sulla linea da tenere nei confronti della Cina, ovvero se trattare il Paese come un partner che può essere gestito o come un rivale da ostracizzare. La stessa amministrazione Trump fa esperienza di questa spaccatura, e la decisione del presidente di dare tregua temporanea a Huawei non ha fatto altro che rendere gli obiettivi di lungo periodo ancora meno chiari.

La Cina entrò a far parte dell’OMC nel 2001 come modo per disciplinare l’inefficienza che caratterizzava le sue imprese statali, per assicurarsi punti di accesso ai mercati stranieri e per alimentare la crescita trainata dalle esportazioni. Insieme allo svalutato yuan, l’ingresso nell’OMC attirò un fiume di capitali e know-how stranieri che servirono a trasformare la Cina nella base produttiva mondiale di adesso.

Tutto questo condusse a un ampliamento delle eccedenze commerciali cinesi, ma anche ad un approfondimento delle frizioni con il Nord America. Pechino affrontò le tensioni aumentando il valore dello yuan, che portò anche ad una migrazione degli interessi: dall’ingresso di investimenti stranieri e dalla crescita guidata dalle esportazioni, al coltivare i campioni nazionali. Così, mentre la fetta della produzione nazionale cinese costituita da surplus commerciale cominciava a ridursi, le imprese occidentali si ritrovarono ad avere sempre più difficoltà ad accedere al mercato cinese, e a subire pressioni sempre maggiori perché trasferissero tecnologia e know-how ai rivali della Repubblica Popolare.

Nonostante la Cina sia ora impegnata nella guerra sui dazi, che gli Usa le hanno dichiarato per cercare di mettere fine al trattamento discriminatorio, i suoi obiettivi nazionali si sono ancora una volta evoluti. Ora non si tratta più di proteggere i campioni domestici sul territorio nazionale, ma di coltivare quelli con natura globale e attivi nelle industrie d’avanguardia, dalle auto ad alta efficienza energetica fino all’intelligenza artificiale.

«I cinesi rimangono estremamente protettivi quando si tratta del loro mercato interno, ma hanno anche continuato a spostare la loro attenzione nel tempo; il loro mercato d’interesse sta cambiando insieme alle loro ambizioni, che ora riguardano la tecnologia», ha dichiarato Scott Kennedy, del Center for Strategic and International Studies.

Huawei non è una società qualunque; è forse il fornitore leader nel mondo delle più importanti reti informatiche e di telecomunicazione di quinta generazione, ed è una notevole fonte d’orgoglio nazionale. Huawei, insieme alle statali ZTE Corp. e State Grid, monopolio della corrente elettrica, sono «strumenti strategici per spingere la Cina in cima alla scala in campo tecnologico», afferma Derek Scissors dell’American Enterprise Institute. «Loro sono il fulcro dell’approccio [di Xi] per lo sviluppo della Cina».

La campagna Usa contro Huawei è iniziata come una questione di sicurezza nazionale, basata sulla possibilità che la società possa diventare un tramite del governo cinese nell’attuazione di misure spionistiche. Ora è parte di un più ampio dibattito su come trattare con la Cina. I leader americani avevano creduto che l’adesione all’OMC avrebbe rafforzato l’ordinamento giuridico in Cina, incoraggiando al contempo una liberalizzazione economica e politica del paese. Svanite le speranze con la fine dell’amministrazione Obama, l’amministrazione Trump ha fatto presto a respingerle in blocco. Ma un’alternativa va trovata, e Huawei è diventata proprio il simbolo di questo divario.

Robert Lighthizer, rappresentate per il commercio Usa, ha sempre sostenuto che la Cina sfruttasse l’OMC per gestire il surplus commerciale, rubare proprietà intellettuale, minacciare le società estere di trasferire la loro tecnologia, e creare sussidiare di aziende locali. Ritiene inoltre che si possa far in modo che la Cina trovi normative alternative, e vede Huawei come una questione indipendente dalla sicurezza nazionale.

Al contrario, i falchi vicino a Trump pensano che il sistema cinese sia radicalmente incompatibile con quello Usa e dei suoi alleati. A loro l’inserimento nella lista nera di Huawei può risultare più rilevante dei dazi per evitare che la Cina rimpiazzi gli Usa sia a livello economico che militare. «Questo gruppo radicale del partito comunista cinese si candida contro l’occidente da 15 o 20 anni,» ha riferito l’ex-consigliere Steve Bannon a CNBC la scorsa settimana. «Huawei è una bomba radioattiva all’interno della democrazia industriale». All’inizio di quest’anno, il segretario di stato Mike Pompeo ha accusato la Cina di voler «dividere le alleanze occidentali a colpi di bit e byte, al posto di proiettili e bombe».

Tuttavia Trump non concorda con nessuna di queste visioni del mondo. Lui valuta la Cina secondo gli stessi parametri con cui valuta tutti gli altri paesi: deficit, dollari e punti Dow Jones. Sabato, commentando la tregua con Huawei, ha spiegato: «Vendiamo a Huawei un’incredibile quantità di merce». Ha inoltre giustificato la sua decisione di un anno fa di sospendere il divieto sulle vendite a ZTE richiesta personalmente da Xi perché loro pagano agli Usa una multa da capogiro e «inoltre comprano prodotti americani. Per me è molto importante che vengano acquistati prodotti americani».
Il successo delle trattative dipende dal conoscere il proprio punto di arrivo. Pare che questo sia un aspetto su cui gli Usa stiano ancora lavorando nel cercare di scoprirli.

Please click here to read this article in English on The Wall Street Journal?mod=MFlink1

MF+MIFI + The Wall Street Journal

Sorgente: Il vantaggio della Cina nelle trattative con gli Usa? Sa quello che vuole – MilanoFinanza.it

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