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Il carabiniere ucciso: il furto del borsello, la banda dei pusher e la chiamata al 112. Tutti i punti oscuri

La vittima sul posto con un collega. Erano in borghese. L’importanza del cellulare con i contatti della rete dello spacciatore

di Fulvio Fiano e Ilaria Sacchettoni

ROMA Sono molti i dubbi sulla ricostruzione degli avvenimenti così come si è delineata a tarda sera dopo una giornata caratterizzata da voci contraddittorie. L’ultima versione è che i due americani avrebbero rubato il borsello a un pusher a Trastevere. Una ritorsione per l’aspirina vendutagli come fosse cocaina. E che Mario Cerciello Rega, intervenuto con il collega Andrea Varriale per recuperare la refurtiva, sarebbe rimasto vittima dell’aggressione dei due ventenni.

«Cavallo di ritorno»

La notte di giovedì a piazza Mastai i due americani ventenni acquistano droga da un italiano, ma scoprono presto di essere stati truffati. Decidono così di prendere il suo borsello. La prima ricostruzione parla in realtà di un cosidetto «cavallo di ritorno», ossia la tentata estorsione per restituire l’oggetto del furto. Il borsello ha però un valore approssimativo di cento euro che stride con un altro dato: i ragazzi risiedono all’hotel «Le Meridien Visconti», albergo di lusso in Prati e il loro profilo sembra incompatibile sia con il piccolo furto che con la successiva tentata estorsione. Un trucco di cui solitamente si alimenta la microcriminalità. Anche volendo pensare a una bravata, il brivido del rischio non sarebbe stato ripagato dall’eventuale guadagno. Autori del furto e vittima entrano poi in contatto per la restituzione a pagamento.

L’incontro notturno

Ecco allora la possibile spiegazione nel fatto che il borsello contenesse il telefono del pusher italiano. Il quale, ansioso di recuperare la sua rubrica con i contatti per lo spaccio, avrebbe chiesto ai due un incontro per la restituzione eventualmente a pagamento. Viene infatti da chiedersi che cosa possa averlo spinto ad accettare, a sua volta, un rischio potenzialmente tanto elevato se non la necessità di recuperare un bene con un valore superiore a quello di mercato. E soprattutto che cosa lo abbia spinto a chiamare il 112.

L’intervento

Sul luogo dell’appuntamento si presentano Cerciello e Varriale. Sono in borghese. E apparentemente le due pattuglie di supporto, previste dalla procedura, non riescono ad arrivare in tempo per dare loro manforte. Cerciello viene colpito da otto coltellate di una lama a serramanico e muore mentre il collega sta bloccando uno dei due americani. Lo stesso Varriale dirà a caldo che si tratta di nordafricani fornendo anche il particolare dei capelli con mèches di uno dei due. Le origini algerine o libanesi dell’uomo e il colore olivastro della pelle sostengono questo identikit mentre il complice si rivela essere biondo e chiaro di carnagione.

L’equivoco

Resta il mistero sulla chiamata ai carabinieri. Possibile che un pusher si rivolga alle forze dell’ordine? Questo alimenta anche la confusione sul coinvolgimento nella vicenda di una banda di spacciatori magrebini in uno scenario invertito. Si diffonde la voce che il borsello derubato contenga droga e soldi oltre al cellulare sul quale i due autori del furto sarebbero stati rintracciati e minacciati dagli stessi pusher così da convincersi ad accettare l’incontro per la restituzione. Sarebbero stati cioè loro a chiamare i carabinieri temendo la vendetta degli spacciatori.

La confessione

E qui si torna al presunto spessore criminale dei due turisti americani (ritenuti inizialmente studenti della John Cabot University, ma l’ateneo ha smentito seccamente a tarda notte) che, dopo il furto e l’estorsione, vanno armati all’appuntamento e non esitano ad aggredire i carabinieri. Sia nell’ipotesi che abbiano agito per sfuggire alla cattura sia che si siano sentiti minacciati. Resta il fatto che uno dei due, il ragazzo con le mèches ha ammesso: «Sono stato io ad accoltellare il carabiniere».

 

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