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L’ipotesi sembra dunque più che altro un diversivo, il cui unico effetto concreto è per il momento di aiutare il gioco dell’asse Casalino-Conte, che ha scelto esplicitamente la via del logoramento di Salvini

di Antonio Polito

All’improvviso, il piano B è tornato. Ma per ora si aggira più come un fantasma, usato per consolidare il governo, che come un progetto politico realizzabile.

Un giro di telefonate dai palazzi grandi e piccoli della politica fa sapere in giro che il voto anticipato dopo un’eventuale crisi non è più scontato come sembrava. Più fonti accreditano questa tesi: tutti coloro che vogliono allontanare le elezioni. Un deterrente, insomma. L’idea è che, qualsiasi cosa dovesse succedere a Salvini, si potrebbe formare un’altra maggioranza, comprendente il grosso dei Cinquestelle e del Pd, partito in cui non sono pochi i capicorrente che uscirebbero con le ossa rotte dalle liste di Zingaretti. Così Renzi si è precipitato ieri a ribadire: mai e poi mai con i grillin

Ma perché il piano B fa il bis proprio ora? L’unica vera novità è il colpo duro che ha preso Salvini. La storia russa forse non gli darà conseguenze giudiziarie, e magari nemmeno nei sondaggi, ma gli ha sicuramente tolto lucidità e ha ringalluzzito gli avversari, quasi increduli di vederlo per la prima volta all’angolo, convinti che abbia uno scheletrino nell’armadio. Forse è esagerato, ma certamente Salvini non ha fatto una bella figura, tentando goffamente di liberarsi degli abbracci di Savoini. E non c’è dubbio che la vicenda non sia passata inosservata in quei centri di potere internazionali che proprio non vogliono un amico di Putin a Palazzo Chigi. Sarà un caso, ma l’Economist ha appena pubblicato un articolo che lo definisce l’uomo più pericoloso d’Europa.

Tutto ciò dovrebbe confermare il leader della Lega nel suo proposito di non aprire la crisi. Ma che succede se la situazione sul fronte russo precipita, magari con nuove rivelazioni o registrazioni? Una crisi potrebbe essere un esito preterintenzionale. Ecco dunque il deterrente: approfittando della chiusura della finestra elettorale di settembre, si prova a tenere Salvini dov’è sperando che nel frattempo si logori.

Ma in realtà il piano B è oggi anche meno credibile di ieri. Intanto perché l’Italia si trova in un momento di stabilità finanziaria dopo il cedimento del governo all’Europa, firmato Conte-Tria, e la chiusura della procedura d’infrazione. Come si giustificherebbe, in queste condizioni, una «soluzione Cottarelli»? Dov’è un’emergenza spread tale da costringere Zingaretti a immolarsi sulla pira di sei mesi di larghe intese?

Il secondo motivo è Fico. Perché un patto del genere possa nascere bisogna per forza scavalcare Di Maio, ormai legato mani e piedi alla sorte di Salvini. Ma Fico non è al momento disponibile. Sa che l’alleanza Casaleggio-Di Maio è ancora troppo forte nel partito, che le cose devono andare peggio (un’altra sconfitta elettorale?) prima che vadano meglio; e vede che i suoi fedelissimi, alla Camera o al Senato, vengono cacciati o emarginati. Dove sarebbe dunque la quinta colonna grillina?

Il piano B sembra dunque più che altro un diversivo, il cui unico effetto concreto è per il momento di aiutare il gioco dell’asse Casalino-Conte, che ha scelto esplicitamente la via del logoramento di Salvini. I segnali sono molteplici, compreso l’articolo di un decano del giornalismo politico come Scalfari che paragona Conte a Moro e lo indica come possibile traghettatore verso un incontro con le sinistre.

Poi c’è la vicenda europea. Il premier ha trattato direttamente con la Merkel, è stata una sua telefonata con la Cancelliera a sbloccare il voto favorevole del Movimento Cinquestelle al Parlamento di Strasburgo, rivelatosi poi decisivo per l’elezione della presidente tedesca della Commissione. Ciò che sembrava fino a ieri scontato, che cioè sarebbe stato Salvini a indicare il nome del commissario italiano, ora lo è molto meno: può scegliere chi è all’opposizione in Europa, o tocca a Conte?

Si aggiunga il solito mistero glorioso nel Partito democratico. Al Nazareno sono rimasti a dir poco sorpresi nel vedere che mentre producevano il massimo sforzo per portare Salvini in Aula a rispondere sulla Russia (anche quindici minuti, qualsiasi fosse la difesa, l’avrebbero messo sul banco degli imputati), e mentre il presidente della Camera chiedeva lo stesso, il capogruppo al Senato, il renziano Marcucci, ha invece proposto che fosse Conte a rispondere, il quale ha subito accettato. I vertici del Partito democratico calcolano che così Salvini eviterà ogni danno, e in più Conte si attribuirà il merito della trasparenza.

A completare il quadro dei sospetti, qualche settimana fa era circolata l’idea, attribuita da molti a Franceschini, di incardinare presso la commissione Affari costituzionali della Camera una proposta di riforma della legge elettorale insieme con i pentastellati, per depurare il proporzionale da quella quota maggioritaria che potrebbe portare Salvini a Palazzo Chigi anche con il 35% dei voti. Poi non se ne è fatto niente, anche perché è difficile immaginare che in caso di crisi il presidente della Repubblica possa giustificare un governo di emergenza con la necessità di cambiare una legge elettorale che lui stesso ha firmato e promulgata.

Sorgente: corriere.it

 

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