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Una protesta dei lavoratori madrileni impiegati da Deliveroo negli ultimi anni

Tribunale dà ragione alla Seguridad Social: gli addetti impiegati a Madrid sono false partite Iva. «Dipendenza assoluta dalla app»

Luca Tancredi Barone

Il mezzo migliaio di riders di Deliveroo a Madrid sono false partite Iva, l’azienda li deve assumere e deve pagargli i contributi prescritti per i lavoratori dipendenti. La sentenza shock è arrivata questa settimana dal Juzgado de lo Social numero 19 di Madrid, che ha dato ragione all’equivalente dell’Inps spagnolo, che dopo un’ispezione approfondita nel 2015 e poi nel 2017 aveva preteso i contributi di tutti i 532 riders (circa 1 milione di euro) che avevano lavorato per Deliveroo fra l’ottobre 2015 e il giugno 2017 nella capitale spagnola. Secondo la Seguridad Social, si tratta di lavoratori dipendenti, mentre l’impresa li considerava lavoratori autonomi.

NON È LA PRIMA SENTENZA che va in questa direzione, ma per ora è la più importante in Spagna. Deliveroo ha intenzione di fare ricorso, quindi per ora la sentenza non è definitiva. A giugno una analoga sentenza a Valenza aveva riconosciuto 97 riders come lavoratori dipendenti, mentre a Barcellona è in attesa di sentenza (prevista per il febbraio del 2020) una analoga denuncia che coinvolge 750 riders.

Il problema della precarietà delle condizioni di lavoro di chi ripartisce a domicilio ha assunto ormai proporzioni drammatiche, che spesso sfociano in tragedia, come è successo una notte di due mesi fa a Barcellona, quando un ciclista nepalese 22enne con lo zaino di Glovo è stato investito mortalmente da un camion in pieno centro.

SECONDO IL COL·LECTIU RONDA, un gruppo di avvocati catalani specializzati in temi legati al mondo del lavoro e che stanno seguendo le denunce di Barcellona, si tratta di una sentenza «di vitale importanza», anche se non è ancora definitiva. Infatti, argomentano, la sentenza si pronuncia non già su una situazione individuale o di un piccolo gruppo di lavoratori, ma «analizza le conclusioni dell’ispezione del lavoro rispetto al modello imprenditoriale di Deliveroo in tutta la sua estensione», sostiene Natxo Parra, uno degli avvocati del collettivo.

LA SENTENZA INFATTI ANALIZZA nel dettaglio le condizioni di lavoro dei rider e giunge alla conclusione che «gli addetti alle consegne prestavano i loro servizi in maniera del tutto organizzata, e guidata dall’impresa denunciata, fin nei minimi dettagli». E certifica «l’esistenza di istruzioni agli addetti alle consegne che oltre all’affidamento del servizio stabiliscono con la massima precisione le condizioni nelle quali detto servizio si deve svolgere, condizioni che l’azienda controllava e valutava». L’unico contributo dei riders è la decisione sul mezzo in cui svolgere il servizio (bici o moto) e la scelta del percorso («anche se sembra evidente che sceglieranno la più breve», sottolinea la stessa sentenza), ma la loro dipendenza dalla app «controllata e fornita dall’impresa» è assoluta. Certo, possono anche respingere una richiesta, ma questo, come nota ancora la sentenza, «poteva avere conseguenze negative» per il modo in cui è disegnata la app.

L’AVVOCATA ESTHER COMAS, sempre del Col·lectiu Ronda, che ha seguito la causa a Madrid assieme agli avvocati dei principali sindacati spagnoli, sottolinea la novità di aver considerato la app «come elemento cruciale del modello di business, al contrario di quanto si dice in altre sentenze favorevoli all’azienda, che consideravano la moto o la bici come il principale mezzo di produzione».

Ovviamente, Deliveroo (attraverso la sua affiliata spagnola, Roofoods Spain) ritiene che «la sentenza non riflette la forma nella quale i riders collaborano con la compagnia» e chiede alla politica «una riforma legale che permetta alle aziende di offrire ai riders autonomi maggiore sicurezza, senza mettere in pericolo la flessibilità, che – secondo loro – gli stessi riders ci hanno detto di desiderare».

Sorgente: il manifesto

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