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Un mese prima dell’inizio delle ostilità l’accordo. Poi il generale ha cambiato piano, accelerando. E il presidente s’è trincerato. Gli italiani? “Sapevano ben poco, la regia era francese”

Francesco Semprini

Un patto tra Fayez al Sarraj e Khalifa Haftar per spartirsi potere e poltrone e governare assieme la Libia. È questo il segreto che si cela dietro la guerra civile libica iniziata con l’attacco militare alla capitale ordinato il 4 aprile dall’uomo forte della Cirenaica. A rivelarlo a La Stampa sono voci autorevoli che ricostruiscono quanto accaduto circa un mese prima dell’inizio delle ostilità, proprio mentre fonti della Casa Bianca smentiscono la notizia diffusa da media libici dell’imminente visita del generale a Washington su invito Donald Trump.

L’incontro ad Abu Dabi

A conferma di come questa guerra sia combattuta a colpi di fake news. A partire dalla sua genesi, ovvero da quella riunione di Abu Dabi di fine febbraio: «Da quell’incontro è nato un accordo tra Sarraj e Haftar». Quale? «Tu vieni a Tripoli, io ti faccio entrare. Tu fai il ministro della Difesa e il comandante delle Forze armate, io rimango a fare il presidente», avrebbe concertato il presidente del Governo di accordo nazionale col generale. Il tutto con l’assenso di Fathi Bashagha, attuale capo degli Interni che puntava alla poltrona di Primo ministro.

Il suo compito era di impedire che la Fratellanza musulmana si mettesse di traverso, e che anzi riuscisse a cooptare ambienti di Misurata, visto che la Sparta libica rimaneva di fatto tagliata fuori dall’accordo. Bashagha «aveva parlato con alcuni esponenti dei Fratelli musulmani nella logica di “ci sono io a fare il premier, Sarraj rimane presidente, in qualche modo arginiamo Haftar”». «La regia dell’accordo era francese con l’intermediazione dell’inviato Onu Ghassan Salame, con la spinta degli Emirati e alla presenza di Peter Bodde, l’ambasciatore americano il quale però non ha dato un vero e proprio avallo. Gli italiani di tutto ciò ne sapevano poco».

La posta in palio

Il corto circuito è avvenuto quando Haftar ha deciso di entrare a Tripoli, non con i fiori nelle bocche dei cannoni, piuttosto marciando sulla capitale con un dispiegamento di uomini e mezzi e facendo leva sull’appoggio di milizie e tribù locali. Insomma, pensando di cogliere di sorpresa un rassicurato Sarraj, voleva espugnare Tripoli e prendersi tutta la posta in palio sul piano politico e militare. Ecco spiegata la reazione del presidente del Gna che ha subito detto di «essersi sentito tradito». Bashaga da parte sua ha rischiato di pagare il prezzo più alto visto che si era fatto garante con i Fratelli musulmani e con una parte di Misurata, inimicandosi al contempo l’altra parte, quella che fa capo ad Ahmed Maetig. La Sparta libica, la più potente forza militare in campo, a sua volta ha perso fiducia in Sarraj e nel suo governo tanto che la risposta sul terreno all’avanzata di Haftar è ben al di sotto delle sue massime capacità. Le «katibe» misuratine operano solo al 30% delle potenzialità belliche, perché «non vogliono sacrificarsi per Sarraj», e quindi si limitano a contenere Haftar e respingerlo lentamente indietro.

Le reazioni a Washington

L’«accordo sciagurato» è stato oggetto delle consultazioni di Maetig a Washington, in particolare col senatore Lindsey Graham, al quale ha ribadito come Trump abbia inviato un messaggio «confuso» alla Libia dopo aver elogiato il ruolo del generale Haftar. E’ stato «un favore al presidente egiziano Abdel Fattah al Sissi», affermano funzionari Usa. Anzi, l’amministrazione americana sta «raffreddando» i rapporti col generale, anche su sollecitazione di Capitol Hill, come dimostra la lettera (di cui La Stampa ha avuto copia) inviata al segretario di Stato Mike Pompeo da sei congressisti che esprimono preoccupazione per l’offensiva di Haftar e per le ripercussioni sulla popolazione civile, sul rischio di infiltrazioni terroristiche e sulla produzione di petrolio. Anche la Russia sembra aggiustare il tiro col feldmaresciallo, di cui è storico alleato e sostenitore. Il conflitto continuerà fino a quando emergerà un leader «che può unire tutti», dice a La Stampa Lev Dengov, inviato speciale di Mosca nello Stato nordafricano. «Se quel capo fosse stato Haftar, sarebbe già a Tripoli, e la città sarebbe stata sua senza nemmeno dover combattere».

Sorgente: Sarraj presidente, Haftar alla Difesa: il patto segreto (e saltato) che ha scatenato la guerra in Libia – La Stampa

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