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Il giudice dell’inchiesta di Reggio Emilia: «Le voci di paese erano sufficienti per allontanare i minori. Messa in atto un’opera sistematica di false relazioni ai tribunali»

Massimiliano Peggio

Caro papà mi manchi tanto spero che ci rivedremo al più presto. Vorrei che mi portassi uno dei tuoi splendidi regali. Mi potresti scrivere un biglietto o un messaggio più spesso perché di te non ho più ricevuto nessun biglietto e quindi mi sono chiesta perché. Quando avrai finito di leggere per favore prendi immediatamente carta e biro e scrivimi una bella lettera. L’aspetto con tutto il cuore, ti voglio un bene gigante e infinito».

È la lettera di una bimba allontanata nel 2016 alla famiglia naturale e data in affidamento a una coppia di due donne. Iniziato come un caso di maltrattamenti, i servizi sociali dei Comuni della Val d’Enza si erano convinti che fosse stata abusata dal padre. Non era così. Anche se quella famiglia non era perfetta, papà e mamma non erano dei mostri. Litigavano spesso, questo sì. Volevano separarsi. Ma gli assistenti sociali e gli psicoterapeuti consulenti dell’ente territoriale volevano a tutti costi dimostrare gli abusi. Hanno cercato di manipolare i ricordi della bambina, di indirizzarla sul solco dell’accusa, anche con il contributo effettivo delle due donne affidatarie. Un abominio, umano e professionale. In più, nella relazione al tribunale civile, nell’ambito della causa di separazione dei genitori, gli assistenti sociali avevano scritto che «lei non voleva rivedere il padre». Quella lettera l’avevano nascosta in un fascicolo, al fondo di un cassetto.

Da questa storia si apre la sofferta misura cautelare firmata dal Gip di Reggio Emilia Luca Ramponi. Centodue capi d’imputazione.

“Erano fermamente convinti della superiorità dei loro trattamenti”

Il giudice, sviscerando le indagini dei carabinieri del Nucleo Investigativo di Reggio Emilia, ripercorre minuziosamente una decina di episodi, sfociati negli ultimi due anni in dolorose inchieste per presunti abusi sessuali e allontanamenti familiari. Le indagini sulle indagini ribaltano la realtà. Svelando il «fanatismo persecutorio» di assistenti sociali, ispirati da psicologi terapeuti venerati come oracoli. Come Claudio Foti, direttore scientifico del Centro Studi Hansel e Gretel Onlus, associazione torinese che ha fatto scuola nell’ambito delle cure alle vittime di abusi, e nell’assistenza di minori in condizioni di disagio. Consulente di magistrati, promotore di convegni. Un’autorità. «Gli indagati – scrive il Gip – erano convinti pregiudizialmente che, a fronte di ogni minimo indizio, o anche solo sospetto, magari proveniente da voci di paese citate come fonti nelle relazioni, i minori oggetto di segnalazioni e prese in carico fossero vittima di abusi, questa era la loro convinzione circa la verità storica delle vicende riferibili ai minori». Così, stando alla procura di Reggio Emilia, si è costruita un’opera sistematica di «false relazioni» ai tribunali, con disegni di bambini manipolati ad arte per far credere ai giudici l’esistenza di violenze mai avvenute, con metodi terapeutici spinti con fervore al di là dei confini della scienza per dare la caccia ai fantasmi inesistenti, con l’impiego di «apparecchiature elettriche» spacciate per «macchina della verità». Il risultato è l’epilogo tragico. In un caso, uno dei bambini sottratti per presunti abusi, finisce per essere veramente abusato da un cugino, nell’ambito della famiglia affidataria. Anche altri nuclei familiari, compresa la coppia di donne, di cui una molto amica della responsabile dei servizi sociali Federica Anghinolfi, sono indagati per lesioni – che il Gip qualifica in gravemente colpose e non dolose secondo l’impostazione della procura – per aver «inculcato» nei minori assistiti «falsi ricordi», alterando così il loro equilibrio fisico.

Ma perché si è arrivati fino a questo punto? Lo scrive il Gip. «Erano fermamente convinti della superiorità del loro metodo di trattamento e di approccio al minore “abusato”: ciò vale ovviamente per Foti e gli psicologi del suo gruppo che avevano persino pubblicato il proprio manifesto ideologico-scientifico, ma questo vale anche per gli assistenti sociali che avevano aderito a quel metodo, partecipando a convegni per supportarne la validità e preferendo, per i minori a loro affidati, le terapie di quel gruppo di professionisti, a costo di soppiantare illegittimamente gli psicologi dell’Asl». Il resto dell’inchiesta, sono abusi d’ufficio e affari «collaterali», come si legge negli atti. «L’ingiusto vantaggio economico ottenuto dal centro studi Hansel e Gretel, i cui membri Claudio Foti, Nadia Bolognini (moglie di Foti), Sarah Testa, esercitavano sistematicamente, a nessun titolo, l’attività di psicoterapia». Compensi più che raddoppiati, da 60 euro a 135. Si parla di alcune decine di migliaia di euro. Incarichi ottenuti senza gare d’appalto. Contributi d’affido gonfiati agli amici. Non sono i danni all’erario ciò che inorridisce di questa inchiesta, ma le conseguenze sulle vite dei minori e delle famiglie.Il Gip Ramponi si spinge oltre nella ricostruzione, cercando le radici di queste ossessioni professionali, seppur rivolte a nobili fini. E le trova analizzando le storie individuali dei terapeuti e degli assistenti sociali . Molti sono stati vittime di abusi e maltrattamenti familiari. «Così che il proprio vissuto personale li ha resi arrendevoli al pregiudizio»

Sorgente: Lettere nascoste e bugie: quegli abusi inventati dagli assistenti sociali: “Papà, perché non scrivi?” – La Stampa

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