0 6 minuti 5 anni

Immagine correlata

Occupazione. Quello che diconole elaborazioni del Centro Studi di Lavoro&Welfare sui dati dell’Inps. Nel Pd Marcucci attacca Provenzano, ma è rimasto indietro di un giro: la parola d’ordine di chi ha vinto il congresso è stata ed è discontinuità

Cesare Damiano

L’andamento della Cassa integrazione nei primi 5 mesi di quest’anno dimostra che si è interrotto il ciclo 2014-2018 nel quale le ore erano in continua diminuzione, passando dal miliardo all’anno del 2014 a poco più di 200 milioni(- 80%) nel 2018. Gli ultimi dati forniti dall’Inps ci dicono che nel periodo gennaio-maggio 2019 la Cig torna a crescere, + 11,42%, rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, attestandosi a 116 milioni di ore. Quello che preoccupa maggiormente, però, è l’andamento della Cassa Integrazione Guadagni Straordinaria che, sempre nello stesso periodo, totalizza un + 31,94%. Sappiamo che questo strumento, in specifico, è collegato alle crisi aziendali e, in molti casi, prelude a misure di licenziamento. Le aziende in crisi che hanno fatto ricorso ai decreti di Cigs, pur essendo in diminuzione, in questi cinque mesi sono state 575 per oltre 1.000 siti aziendali.

Secondo le elaborazioni del Centro Studi di Lavoro&Welfare sui dati dell’Inps, se consideriamo le ore totali di Cassa integrazione, la loro traduzione in posti di lavoro a zero ore, corrisponde a 133mila lavoratori fuori dalla produzione in questi primi cinque mesi del 2019 (22 settimane lavorative), dei quali oltre 83.000 in Cassa Integrazione Speciale. In sostanza, si sono perse 14 milioni e mezzo di giornate lavorative. Ma il dato più eclatante, sempre secondo l’elaborazione del Centro Studi di Lavoro&Welfare, è che, essendo il reddito dei lavoratori parzialmente tutelato dalla CIG, i loro salari sono stati tagliati di oltre 480 milioni di euro, al netto delle tasse. Questi dati la dicono lunga sulla situazione reale del Paese, perché l’andamento del consumo delle ore di Cassa integrazione è direttamente collegato al miglioramento o al peggioramento dell’attività industriale e dell’economia in generale. In questo caso, siamo di fronte, dall’inizio dell’anno, ad una inversione negativa del ciclo economico certificata dalla sostanziale mancanza di crescita e dalla crisi della produzione industriale.

Di lavoro, di questi tempi, si parla molto: a proposito e a sproposito. Quello che servirebbe è un esame non propagandistico della situazione. È inutile sbandierare un miglioramento della situazione occupazionale basandoci sui dati mensili e altalenanti dell’Istat se poi, rispetto al fatidico 2008 nel quale è iniziata la crisi, manca ancora all’appello un miliardo di ore di lavoro. Se la matematica non è un’opinione, un aumento di occupati a fronte di un calo di ore lavorate non può che produrre lavoro di scarsa qualità. Prima lavoravamo in due 8 ore al giorno per 5 giorni alla settimana, adesso siamo in due a lavorare 4 ore a testa. Statisticamente il numero degli occupati rimane stabile, ma siamo di fronte ad un part-time imposto per evitare un licenziamento. E gli esempi potrebbero continuare e portarci a constatare che, purtroppo, ad un aumento statistico degli occupati, oggi corrisponde un calo della qualità del lavoro: a termine, occasionale, è così via. Per questo va rilanciata con forza una politica che si riproponga di tutelare il lavoro nel tempo dell’economia digitale. Questo è il compito delle forze di sinistra.

Ha fatto bene Provenzano, il nuovo responsabile del Lavoro del Pd, a ritenere un errore aver cancellato quel che restava dell’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori. Lo vado ripetendo anch’io da tempo: simbolicamente parlando, anche se l’efficacia della tutela si era logorata perché soltanto il 20% dei lavoratori veniva assunto a tempo indeterminato, è stata una scelta che ci ha allontanato dal sentire comune dei lavoratori. È l’alternativa offerta, il Jobs Act, è stata un altro errore. Una misura sbagliata sia sugli incentivi-spot, per fortuna superati da Gentiloni con una modalità di erogazione parzialmente strutturale, sia sulle “tutele crescenti”. In questo caso ci ha pensato la Consulta a giudicare incostituzionale quell’articolo del Jobs Act che collegava, in caso di licenziamento, il risarcimento dovuto al lavoratore con l’anzianità di servizio. Una cosa assurda. Il Governo dell’epoca avrebbe dovuto semplicemente tenere conto dei pareri vincolanti della Commissione Lavoro della Camera che suggerivano un principio di proporzionalità tra infrazione commessa dal lavoratore e sanzione comminata dall’azienda, non escludendo per i casi di illegittimità, la reintegrazione del lavoratore. Ora il Jobs Act, nella sostanza non c’è più e occorre guardare avanti.

Mi ha stupito, l’altro giorno, l’osservazione di Andrea Marcucci, capogruppo del PD al Senato, quando ha accusato Provenzano di avere “sbagliato Partito”. Io penso invece che Marcucci sia rimasto indietro di un giro: la parola d’ordine di chi ha vinto il Congresso è stata ed è discontinuità. Bisogna abituarsi.

*Pd

fotografia: ilgerme.it

Sorgente: il manifesto

Please follow and like us:
0
fb-share-icon0
Tweet 20
Pin Share20