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Governo. Il premier chiede risposte rapide. Salvini non lo fa nemmeno finire: «Avanti senza perdere tempo». Di Maio: «Subito un vertice». Sulla Flat tax l’avvocato non può sbilanciarsi e alla Lega concede solo uno spiraglio sul rimpasto

Andrea Colombo

Annunciata con gran squillo di fanfare, un tweet che convoca la stampa a palazzo per le 18.15, cioè a mercati chiusi, perché il premier «ha da dire cose importanti», la conferenza stampa di Giuseppe Conte è di quelle che non modificano di una virgola la situazione e forse anzi mette ancor più a nudo l’impotenza del premier. E’ un appello alla responsabilità rivolto direttamente ai due leader e suoi vice, Matteo Salvini e Luigi Di Maio, perché smettano di litigare, di invadere il campo altrui, di farsi la guerra senza esclusione di colpi per tornare a quella «leale collaborazione» che considera la chiave per riprendere il lavoro. Ma per questo sarebbe necessario riconoscere i problemi e affrontarli. Il capo senza più poteri del governo non può farlo. Deve addossare ogni responsabilità alla «serie ravvicinata di prove elettorali conclusa dalle europee, che io avevo sottovalutato». Polvere sotto il tappeto.

PER FORZARE LA MANO Conte mette sul tavolo la pistola. O i due dicono chiaramente che sono pronti a smetterla e lo dimostrano con i fatti oppure «sono pronto a rimettere il mandato nelle mani del presidente». E’ un’arma scarica. Se tra i soci della maggioranza non tornerà almeno una parvenza di sereno, nel giro di un paio di settimane non ci sarà più nulla da cui Conte possa dimettersi. L’espressione, qualche volta, dice e rivela più delle parole, specialmente quando a parlare è un maestro nell’arte del non dire. L’espressione di Conte, ieri, era disperata. «Chiedo una risposta chiara e rapida», ha detto. Quella della Lega arriva ancora prima che la conferenza stampa sia finita. «Non abbiamo mai smesso di lavorare, siamo pronti, vogliamo andare avanti e non abbiamo tempo da perdere», replica Salvini. Poi sciorina la lista immutata dei «sì» che reclama. E tutto torna seduta stante al punto di partenza.

L’INQUILINO DI PALAZZO Chigi cerca di rimediare all’errore clamoroso commesso in campagna elettorale, sbilanciandosi, su pressione di un Di Maio terrorizzato dai sondaggi, a favore dei 5S. «Io non sono del Movimento 5 Stelle. Quando mi contattarono nella scorsa legislatura dissi chiaramente che non li avevo votati e non sono iscritto. Non sapete quante volte, in consiglio dei ministri, ci sono state tensioni con loro». Il tentativo di recuperare il ruolo super partes è una mossa giusta e quasi obbligata, ma tardiva e probabilmente ormai inutile.

Nel merito, Conte può dire pochissimo. La Tav? «Non possiamo accantonare l’analisi costi-benefici. Ho parlato con Macron, a breve ci sarà un passaggio con l’Europa. Al termine trarremo le fila». I decreti Crescita e Sblocca cantieri, che giacciono paralizzati dallo scontro nella maggioranza da ben prima della campagna elettorale? «C’è un vertice stasera». Il vertice in effetti c’è e secondo i pronostici della vigilia la Lega potrebbe accettare di rimaneggiare il suo emendamento che riscrive il dl in cambio dell’accettazione da parte dei 5S. Ma il ministro Toninelli schiuma rabbia: «Quell’emendamento è una provocazione». Al vertice serale la mediazione non si trova: se non si troverà nemmeno nei prossimi giorni la situazione potrebbe precipitare subito.

Ma quel che rende probabilmente impossibile la missione di pace dell’avvocato Conte è che il premier si trova al centro di un fuoco incrociato non su uno ma su due fronti, che non si sovrappongono però potenziano vicendevolmente l’effetto esplosivo. C’è la guerra nella maggioranza ma c’è anche, più temibile e più temuto, il conflitto che monta con l’Europa. Qui Conte prende posizione senza giri di parole, schierandosi con il Colle, che ha probabilmente suggerito l’uscita di ieri: «Le regole europee vanno rispettate finché non riusciremo a cambiarle. La prossima manovra dovrà mantenere un equilibrio dei conti. Una procedura d’infrazione ci farebbe molto male». Significa, in concreto, che sul punto chiave, la Flat Tax, Conte deve sgusciare e svicolare, appellarsi al fatto che «non ci sono solo le due aliquote, è una riforma molto più vasta e complessiva».

COSE CHE SI DICONO quando non si vuole rispondere. O quando non si può, perché se dicesse sì alla tassa della Lega lo spread andrebbe alle stelle, se dicesse di no il governo finirebbe sotto terra subito. Quindi il presidente del consiglio deve trattare con le mani legate. Tutto quel che può concedere all’offensiva leghista è uno spiraglio sul rimpasto. Non lo chiede né lo promette ma non avrebbe nulla in contrario. Che basti a spegnere l’incendio è ben poco probabile. La risposta di Salvini arriva quasi in tempo reale: «Sul rispetto delle regole europee il voto è stato chiaro». E stavolta Di Maio, terrorizzato dal rischio di voto, capovolge le posizioni assunte un paio di settimane fa e concorda: «Serve subito un vertice di governo per discutere la revisione di vincoli europei».

Sorgente: «Basta liti o vado via». L’ultimatum di Conte è un’arma scarica | il manifesto

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