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Mentre gli scrittori progressisti si interrogano sul boicottaggio del Salone del Libro, reo di ospitare un editore neofascista, a Casal Bruciato i militanti di Casa Pound minacciano una famiglia rom rea di avere diritto a un alloggio popolare. Il fallimento della sinistra è tutto qua

Facciamo un indovinello. A Torino, al Salone del Libro, tra centinaia di editori, ce n’è anche uno, Altaforte Edizioni, dichiaratamente fascista e molto vicino a CasaPound. Nel frattempo a Roma, a Casal Bruciato, VIrginia Raggi decide di assegnare una casa popolare a una famiglia rom di 14 persone – due genitori, dodici figli – che aveva presentato regolare domanda e alcuni residenti, contrariati da questa decisione, hanno chiamato i militanti di CasaPound per protestare contro questa decisione: «Vi tiriamo una bomba», minacciano. La famiglia rom, nel frattempo, non ha il coraggio di uscire ed è prigioniera in casa sua, per paura di violenze.

Ecco la domanda: secondo voi di cosa stanno discutendo da giorni, gli intellettuali progressisti di casa nostra? Del Salone del Libro di Torino, o della periferia romana? Di un libro-intervista a Matteo Salvini o del diritto di una famiglia rom ad avere un’abitazione? Di CasaPound ospite sgradito nei salotti della cultura italiana, o del suo fare proseliti in quei territori perduti della repubblica che sono sempre di più le periferie delle nostre grandi città?

Quello di Casal Bruciato è l’Aventino peggiore, non certo quello di Torino. Ed è lì che ci piacerebbe vedere i Raimo, i Ginzburg, le Murgia, i Wu Ming. A combattere contro Casa Pound sul suo terreno

Forse nemmeno serve aprire i giornali, per rispondere all’indovinello. Bastano i cliché, che in questo caso aderiscono perfettamente alla realtà dei fatti: da Christian Raimo – che pure sta facendo cose egregie da assessore alla cultura del terzo municipio di Roma – che rinuncia al ruolo di consulente, ma non si perde il Salone, a Wu Ming e Carlo Ginzburg che lo seguono, da Michela Murgia che si dissocia dalla protesta sino al Manifesto che dedica al caso Salone la foto centrale e l’editoriale, ma non spreca nemmeno una goccia d’inchiostro in prima pagina per Casal Bruciato.

Benaltrismo? Anche no. Dentro questa vicenda minima, piuttosto, c’è tutta l’ipocrisia e il fallimento culturale di una sinistra che scrive libri su come ripartire dalle periferie e che troppo spesso non sa nemmeno cosa succede, nelle periferie. Di una sinistra che agita lo spauracchio di Casa Pound se un banchetto profana l’egemonia culturale progressista, ma ignora che nei quartieri popolari – là dove Gramsci ce la voleva portare, la cultura – l’egemonia culturale è tutta neofascista. Di una sinistra che lascia Virginia Raggi a combattere da sola contro un manipolo di camerati dalla violenza facile, nella missione (quasi) impossibile di chiudere i campi e di inserire le famiglie rom in un percorso fatto di stanzialità, legalità e scolarizzazione.

Quello di Casal Bruciato è l’Aventino peggiore, non certo quello di Torino. Ed è lì che ci piacerebbe vedere i Raimo, i Ginzburg, le Murgia, i Wu Ming. A combattere contro Casa Pound sul suo terreno. A parlare con gli abitanti del quartiere per spiegare loro che le guerre tra poveri non sono conflitto sociale, ma rabbia cieca che non porta da nessuna parte. A dare corpo a quella stessa funzione sociale che loro stessi si arrogano. A ripartire davvero dalle periferie, in prima persona. Che Casa Pound invada il salone del libro, se questo è il prezzo da pagare per una sinistra che torni a invadere le periferie.

Sorgente: Sveglia, intellettuali di sinistra: Casa Pound si sta prendendo le periferie italiane, non il Salone di Torino – Linkiesta.it

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