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Coldiretti: “Terreni coltivati decuplicati, bisogna tutelare centinaia di aziende che hanno investito”

Nadia Ferrigo

«Noi ci siamo presi il maggior rischio d’impresa possibile, ma nel peggiore paese possibile» sintetizza Ezio Miglio, circondato da scatolette con decorazioni in stile indiano traboccanti di fiori di canapa ribattezzati Berry Wild, Lemon Out, Kali e Genesi. Per aprire il suo Canapa House, il quarto inaugurato nel giro di un paio di mesi nel quartiere torinese San Salvario, ha lasciato un contratto a tempo indeterminato da impiegato. Come lui, sono migliaia i piccoli e grandi imprenditori che hanno investito nel nuovo “oro verde”: il mercato della cannabis light registra una crescita a doppia cifra in tutti i settori, in Italia e nel mondo. In Europa gli ettari coltivati a canapa legale sono passati da 8 a 23mila, la produzione di semi è aumentata di oltre il 90 per cento e quella delle infiorescenze del 3mila per cento.

Ma dopo la pronuncia della Corte di Cassazione, sembra che circa 15mila negozi dovranno rinunciare a vendere i fiori. Di questi, circa un terzo potrebbero chiudere. Nonostante la batosta, tra i negozianti sulla rassegnazione vince ancora la speranza di una nuova svolta. «Ho scoperto solo oggi di essere uno spacciatore – scherza, ma non troppo, Miglio -. Ma per il momento di chiudere non se ne parla nemmeno. Abbiamo aperto sapendo che la legge era incerta, e questa sentenza non fa che confondere ancora di più. Per ora, resistiamo».

Il tam tam tra i commercianti è partito, la parola d’ordine per ora è «calma». «È ancora presto per dire “chiudiamo tutto”. Questa non è la peggiore delle sentenze, perché lascia ancora una volta spazio all’interpretazione» ragiona Luca Marola, attivista e patron di EasyJoint, pioniere della canapa legale made in Italy. La sentenza è un deciso passo indietro e proibisce olio, foglie, infiorescenze e resina. Ma lo fa salvo «che tali prodotti siano in concreto privi di efficacia drogante». «La canapa industriale non ha nessuna efficacia drogante, e questa è la frase che ci lascia la porta aperta» continua Marola. Secondo lo studio commissionato da EasyJoint a Davide Fortin, ricercatore della Sorbona di Parigi e del centro studi “Marijuana Policy Group di Denver”, il business della cannabis light potrebbe valere in Italia 44 milioni di euro l’anno. Ma, aggiunge la ricerca, solo con una legislazione capace di spiegare con chiarezza che cosa si può fare e che cosa no.

Nel settore agricolo

Se i nuovi brand e i commercianti rischiano di non aver nulla da vendere, il settore delle infiorescenze e derivati era riuscito nell’impresa di rilanciare anche il settore agricolo. In cinque anni sono aumentati di dieci volte i terreni coltivati a cannabis, passati dai 400 ettari del 2013 ai quasi 4mila stimati per il 2018. Molti sono giovani imprenditori con produzioni innovative come olio anti-infiammatorio, bioplastica, pasta, biscotti e cosmetici. «Su un tema così delicato, deve decidere il Parlamento – commenta a caldo Ettore Prandini, presidente della Coldiretti -. Bisogna tutelare i cittadini, senza però compromettere le opportunità di sviluppo del settore, con centinaia di aziende agricole che hanno investito nella coltivazione». Dalle parti di Carmagnola, comune piemontese dove da sempre si coltiva una delle varietà più apprezzate di canapa sativa, si parla di «disastro».

La paura è che sia bandito anche il commercio dei semi, e dei suoi derivati. «Aspettiamo di leggere le motivazioni, e poi lavoriamo per organizzare un incontro tra tutti i protagonisti del mercato della canapa. Serve una strategia coordinata – conclude Marola -. Che la canapa light non è una droga l’hanno capito tutti, tranne la politica. Se ora si vieta il commercio delle infiorescenze il rischio è creare un nuovo mercato clandestino. Meglio, costretto a essere clandestino».

Tutti i video cliccando il link sotto riportato

Sorgente: Produttori e commercianti in trincea “Non siamo spacciatori, resistiamo” – La Stampa

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