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Comune e Regione ribadiscono: siamo antifascisti. Ma per ora la richiesta è senza risposta

Volete Auschwitz o la casa editrice, vicina a CasaPound, Altaforte? Di provocazione in provocazione lo psicodramma del Salone del Libro di Torino mette gli organizzatori di fronte a un nodo che con il buonsenso non si potrà sciogliere. L’ultimo atto della vicenda risale a ieri sera, quando è arrivata la lettera firmata da Halina Birenbaum, sopravvissuta al lager, dal direttore del Museo Statale di Auschwitz-Birkenau, Piotr M. A. Cywiński, e dal presidente e dall’ideatore del «Treno della memoria» ovvero Paolo Paticchio e il torinese Michele Curto (coinvolto, peraltro, in un’inchiesta sulla gestione dei fondi destinati ai Rom).

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Dalle lettera emerge una richiesta ferma, indirizzata al Comune di Torino come «istituzione e come azionista indiretto del Salone»: quella di scegliere tra avere al Lingotto Halina Birembaun e il museo di Auschwitz oppure lo stand della casa editrice Altaforte. Le parole non lasciano dubbi: «Non si può chiedere ai sopravvissuti di condividere lo spazio con chi mette in discussione i fatti storici che hanno portato all’Olocausto, con chi ripropone una idea fascista della società». E aggiungono: «Non si tratta, come ha semplificato qualcuno, del rispetto di un contratto con una casa editrice, bensì del valore più alto delle istituzioni democratiche, della loro vigilanza, dei loro anticorpi, della costituzione italiana, che supera qualunque contratto».

La sindaca ieri ha sottolineato che «Torino è antifascista e al Salone ci sarà perché le idee si combattono con idee più forti». Ma la lettera chiede di rescindere il contratto con Altaforte. E quella è un’altra storia.

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Il contratto lo hanno stipulato gli organizzatori del Salone dicendo sì alla richiesta di una casa editrice che è stata accettata come tutte le altre e che ha già pagato il suo spazio ben prima di diventare un caso politico. I vertici del Comitato di Indirizzo che guida il nuovo Salone ieri sono stati riuniti fino a notte alta negli uffici del Circolo dei Lettori trasformato in bunker inviolabile. La loro posizione è sempre la stessa, anche di fronte alle ultime dichiarazioni del leader di Altaforte Francesco Polacchi che ieri evidenziava il suo sentirsi fascista: «Le dichiarazioni non spostano l’asse. Nessuna lo fa. Sappiamo che è una provocazione ma il Salone resta aperto a tutti».

L’esempio che circola nei corridoi dello storico palazzo del centro di Torino rende bene l’idea: «Non vogliamo fare la fine di Totti che è stato provocato da Poulsen per tutta la partita ma ha finito per essere lui l’espulso». Una posizione che mostra tutta la sua complessità, anche perché nel cuore del Salone c’è pure l’Aie casa di tutti – ma proprio tutti – gli editori la cui presa di posizione si può più o meno sintetizzare in questo concetto: «Chiunque ami i libri e la lettura ha nel proprio Dna la libertà di pensiero, di espressione e in particolare di edizione in tutte le sue forme».

Oggi alla luce della lettera firmata dal direttore di Auschwitz e delle continue provocazioni in arrivo da CasaPound è probabile che vengano prese in esame strade diverse, la situazione è in continua evoluzione. Solo ieri è arrivata la defezione di Zerocalcare, uno da folle oceaniche che al Salone mancherà e che in coda al post su Facebook con cui annunciava l’addio ha aperto forse il vero fronte di questa vicenda: «’Sta roba prima non sarebbe mai successa. Qua ogni settimana spostiamo un po’ l’asticella del baratro».

Il caso è divampato in un momento di profonde lacerazioni politiche e sta travolgendo un Salone che sull’onda dell’entusiasmo dell’edizione del rilancio non ha fatto in tempo a mettere in campo gli anticorpi per evitare di essere strumentalizzato da Altaforte, capace di conquistare una visibilità inimmaginabile fino a pochi giorni fa. Il Salone comincia giovedì ed è il momento delle scelte, ma il peso non può restare solo sulle spalle degli organizzatori. Città e Regione – che ieri hanno sottolineato il loro essere antifascisti – devono fare la loro parte, magari cominciando a rispondere alla lettera partita da Auschwitz.

Sorgente: “O noi o l’editrice di CasaPound”: il museo di Auschwitz avverte Torino – La Stampa

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