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Le elezioni europee si sono concluse con una discreta partecipazione al voto. Gli “europeisti”  sono la maggioranza  mentre in alcuni Paesi importanti come l’Italia e la Francia i “sovranisti” raggiungono risultati notevoli ma non sfondano in Europa.

Ci vorrà adesso del tempo per capire se la costruzione europea arretrerà o avanzerà. Difficile la stazionarietà perché con la dinamica del XXI secolo significa regresso. Per previsioni sensate bisognerà aspettare la composizione degli organi istituzionali dell’Unione che richiederà mesi. Al presente si possono fare solo congetture ed esprimere auspici.

La sfida all’Europa

Nel XXI secolo la Ue e la Uem sono chiamate a una sfida non dissimile per difficoltà a quella degli anni ’50 del XX secolo, perché ora rischia di saltare tutto il multilateralismo costruito e rafforzato dopo la seconda guerra mondiale che pure ha resistito al disfacimento dell’impero sovietico.

In questo inizio di XXI secolo si sono infatti concentrate dinamiche potenti: quella tecno-scientifica e della globalizzazione; quella demografica e migratoria con popolazione mondiale al 2050 sale a 10 miliardi di cui 2,5 miliardi in Africa; quella di nuove potenze mondiali come Cina e India; quella di grandi potenze, come Usa e Russia, che si sentono minacciate o che non vogliono perdere supremazie.

Dunque è a rischio il nostro futuro per conservare la pace e la vivibilità del pianeta riducendo sia i divari Nord-Sud sia l’inquinamento sia le diseguaglianze con lo sviluppo, non con il declinismo.

L’Europa potrebbe contribuire ad attenuare molti di questi rischi perché la sua impronta è quella del multipolarismo, supportata da una forza economica e tecnologica ma anche culturale e civile. Da questo punto di vista la Ue/Uem non dovrebbe essere il terzo polo di un club a tre con Usa e Cina, ma il polo, quello che tiene aperta la porta di un sistema multipolare organizzato dove contano gli organismi sovranazionali e le pattuizioni multilaterali. Cioè quel tanto criticato “sistema Onu” che è invece una certezza di progresso civile.

Non sappiamo se i sovranisti-populisti da un lato e gli europeisti-federalisti dall’altro abbiano riflettuto su questi scenari extraeuropei per ricavarne insegnamenti intra-europei. Limitiamoci perciò ad alcune congetture e auspici.

I sovranisti e i populisti

Le loro idee sono a un tempo chiare e confuse perché agli enunciati che il popolo deve contare di più, e deve essere protetto dai nemici e dalla globalizzazione, porta verso sistemi politici autoritari che in economia significano neo-autarchia e quindi regresso che alla fine diventa disastro.

Escludendo un modello Brexit i cui costi sono ormai chiari (persino per quel Paese di confine tra Europa e mondo) i sovranisti italo-francesi potrebbero tuttavia causare danni  ai loro Paesi nonché alla Ue e alla Uem.

I federalisti, i funzionalisti e i pragmatisti

Gli europeisti, che terranno il governo della Ue e della Uem, devono però evitare l’inerzia nella convinzione che la costruzione europea prosegua per forza propria. Difficile che possano realizzare federalismi più avanzati nei prossimi 5 anni. Quindi sarebbe meglio unire progettualità e concretezza del pragmatismo puntando su dei rafforzamenti funzionali della Ue e della Uem.

Le priorità sono molte e in cima alle stesse ne mettiamo alcune: quella dell’invecchiamento della popolazione europea e della immigrazione; quello dell  tecno-scienza e delle imprese globali; quello della politica estera e della difesa nel contesto del sistema Onu.

Si dirà che questa declinazione è “il tutto” dove il pragmatismo non può che infrangersi. Cerchiamo di aggirare questo rischio ricordando che nella Ue e nella Uem ci sono tanti modelli di successo realizzati con quella solidarietà creativa dei fatti che nessun Paese europeo avrebbe potuto o potrebbe da solo varare e far crescere come eccellenze mondiali.

Gli esempi vanno vanno dalla Bce, al Fondo ESM (“salvastati”) tuttora poco inutilizzato mentre potrebbe emettere eurobond, dal Cern (Centro europeo per la ricerca nucleare) al Fondo europeo per gli investimenti strategici. Per tutti ma ancor di più per Paesi come l’Italia, per le sue imprese e la sua tecnoscienza, questi sono i veicoli per rilanciare la crescita e la produttività che non riparte sforando i vincoli di bilancio con elargizioni senza investimenti e aumentando il debito pubblico.

Le banche multilaterali di sviluppo

Consideriamo la Banca Europea degli investimenti (BEI) posseduta dai 28 Paesi della Ue. È la più grande banca multilaterale di sviluppo al mondo con finanziamenti per investimenti in innovazione, infrastrutture, ecocompatabilità, imprese, destinati per il  90% dentro la Ue. il restante va ad altri circa 130 Paesi di tutti i continenti.

Alla Bei dal 1990 è stata affiancata Banca europea della ricostruzione e sviluppo (BERS) che  è controllata dai Paesi della Ue e dalla Bei ed è servita per facilitare la transizione fuori dal comunismo dei Paesi dell’Europa centro-orientale e dell’Asia centrale.

Poiché uno dei problemi della UE è quello dell’Africa, la cui popolazione arriverà a 2,5 miliardi nel 2050 con effetti incontrollabili di sottosviluppo e migrazioni, perché non ricomporre parti della Bei e Bers per varare una Banca di investimenti Euro-africana.

Partendo dalla constatazione che la Ue e i suoi stati membri sono il principale erogatore mondiale di aiuti pubblici allo sviluppo con circa 80 miliardi annui, si tratta di porre le basi di una macro-politica allineata a Agenda 2030 dell’ONU. Bisognerebbe riunire il tutto creando una Banca di sviluppo che convogliasse questi finanziamenti sull’Africa mediterranea e non da dove l’Europa che invecchia dovrà ricevere anche risorse umane preparate.

Si dirà che è inutile creare nuovi baracconi e che tutta la politica europea per lo sviluppo dei Paesi arretrati funziona bene. Forse, ma nulla vieta di usare ciò che esiste come la Bers per riorientarla maggiormente sull’Africa.

Spiegare per convincere

È probabile che Paesi Europei sovranisti (come l’Ungheria), che hanno tratto benefici dalla Bers, si opporrebbero. Allora bisognerebbe spiegare loro che adesso le priorità sono cambiate e che l’Europa del Sud ha i suoi problemi. Così come bisognerebbe spiegare al Commissario europeo Margrethe Vestager che la concorrenza nella globalizzazione non si potenzia solo con qualche multa a Google o Amazon, ma anche consentendo alla Ue e alla Uem di avere le sue mega-imprese globali.

Sorgente: La costruzione europea deve cambiare o non reggerà | L’HuffPost

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