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In fila per il cibo, stremati dalla crisi, i sostenitori dell’opposizione venezuelana aspettano la spallata definitiva contro il regime di Maduro

dal nostro inviato MARCO MENSURATI

CARACAS – Vaglielo a spiegare a Angel che è tutta colpa della nuova guerra fredda. Oggi è la sua festa, compie sei anni, e sta piangendo da alcuni minuti sotto la pioggia. Ha appena finito la fila davanti al chioschetto all’angolo de la Bolsa, a due passi da plaza Bolivar, il centro di Caracas, e ha scoperto che i quattromlia bolivares che aveva messo da parte negli ultimi due mesi non bastano più a comprare il suo dulce de guayaba, un quadrotto di gelatina di frutta, una specie di cotognata. Fino a un giorno fa erano sufficienti. Oggi non più. Il governo da due giorni ha raddoppiato il salario minimo (da 18mila bolivares a 40mila, al cambio ufficiale 7,69 dollari, vale a dire 0,25 centesimi al giorno) e l’effetto è stato un immediato, ulteriore, aumento dei prezzi. Scherzi dell’iperinflazione.

«Un tempo il dulce de guayaba era una cosa molto popolare, costava pochissimo, lo davano come resto quando facevi la spesa. Oggi invece ci vogliono cinque mila bolivares ed è diventato quasi un bene di lusso», spiega Pedro, il papà che lavora come maestro in una scuola qui vicino. «Il fatto è che ormai questa città, questo paese è impazzito e se gli americani non si sbrigano a chiudere questa partita non avremo più speranze».
Pedro e, c’è da giurarci anche Angel, fanno parte di quell’85 per cento di venezuelani (la stima è comune a quasi tutti i sondaggi di questi giorni) che appoggia l’opposizione nella sua battaglia contro Maduro. È stato, anzi è ancora, chavista, ma dice che ormai «tra il chavismo e questa roba qui c’è la differenza che passa tra il giorno e la notte». Come molti altri ha difeso il governo a spada tratta, fino a poco tempo fa.

«Le sanzioni americane, le politiche economiche internazionali hanno senza dubbio complicato la vita di Maduro e i suoi. Ma loro non hanno fatto niente per uscire dall’angolo, hanno solo abbassato la testa e hanno cominciato ad arricchirsi personalmente, con il petrolio, con la droga. Mentre la vita a Caracas diventava sempre più assurda. E ormai si sono talmente tanto avvitati nelle conseguenze dei loro crimini che non possono più uscirne, se non con l’intervento di una forza esterna». Degli americani, appunto. Che qui sono sempre stati visti come il fumo negli occhi e che invece da qualche mese a questa parte sono diventati improvvisamente popolari. Tanto che viene vissuta come una speranza l’eventualità, sempre più probabile se non imminente, di un blocco navale Usa.

Ma per ora, in tutta questa storia, anche il ruolo dei russi appare più che evidente. Come quello dei cubani. Ancora di più dopo i fatti del 30 aprile. La ricostruzione ormai ufficiale del fallito golpe di tre giorni fa, ha acceso i riflettori sul ruolo giocato in quelle drammatiche ore da Diosdado Cabello, presidente dell’Assemblea nazionale costituente e Tarek El Aissami, vicepresidente della repubblica i due più alti esponenti del blocco di potere che circonda il leader venezuelano. «Al momento — spiegano dall’entourage di Guaidó — sono loro due il principale elemento di stallo di questa storia». Perché se tutta la seconda linea di Maduro ha ormai accettato come un dato di fatto l’idea di dover imporre una svolta alla crisi, dando vita ad un governo di transizione, loro due continuano a rimanere intransigenti.

Anche perché sanno che l’unica condizione posta dall’opposizione sarebbe il loro allontanamento dal paese. E fuori dal Venezuela non sarebbero al sicuro. Entrambi secondo le indagini americane avrebbero un ruolo di primo piano nelle principali piaghe della regione, il contrabbando di petrolio, acquistato a costo zero (in Venezuela viene di fatto regalato) e rivenduto a prezzi internazionali in Colombia, e il narcotraffico. «Finché gli americani non avranno sistemato quei due — spiega Pedro — la situazione non si sbloccherà, a Caracas lo sanno tutti».

L’analisi viene confermata da un alto dirigente di uno dei quattro partiti politici che sostengono Guaidò. Non vuole comparire con nome e cognome per motivi di sicurezza. Per parlarci occorre attraversare la città e arrampicarsi in uno dei quartieri che sorgono proprio sotto il monte Avila. «Le trattative con il governo e con i rappresentanti dell’esercito — spiega — procedono febbrili. Il governo è di fatto morto e Maduro l’ha capito. Il 30 aprile se ne sarebbe andato se non fosse stato per Cabello e Tarek El Aissami che, appoggiati dai cubani e dai russi, hanno trovato il modo di bloccarlo. Ma non durerà molto, anche perché Washington e Mosca hanno molti argomenti sul tavolo e, per quanto rilevante, il Venezuela non è un tema fondamentale per la Russia». Putin — è la teoria dell’opposizione — sin qui ha solo alzato il prezzo della trattativa, strumentalizzando la presa che i servizi segreti cubani hanno sul governo — ma prima o poi un accordo lo troveranno, magari unendo il dossier Venezuela a quello dell’Ucraina. «E allora verrà giù tutto, come un castello di carte»

Sorgente: La Caracas di Guaidó tifa yankees: “Solo l’America ci salverà dai corrotti” | Rep

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