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Stasera la riunione dei vertici grillini per decidere il destino del capo politico. Nel direttorio pronto il rientro di Di Battista. Possibile consultazione online

Federico Capurso – Ilario Lombardo

Un passo indietro è scontato. Non subito. Arriverà presto. Perché il potere glorifica, ma può anche diventare insostenibile. Soprattutto se è una somma di cariche che, dopo un fallimento politico, diventano improvvisamente troppe. Soprattutto se sono i tuoi uomini a chiederlo. Da tempo Luigi Di Maio stava pensando di lasciare uno dei due ministeri che guida, accorpati per riequilibrare la presenza di Matteo Salvini al Viminale e creare un collegamento ideale tra il Lavoro e lo Sviluppo economico. Adesso, di fronte all’onda d’urto della protesta interna, il leader è pronto a mollare uno dei due, e molto probabilmente sarà il Mise. Troppe le grane, poche le soddisfazioni. Sindacati da una parte, imprese dall’altra. Accuse, critiche, manifestazioni, proteste, tavoli disertati, il suo braccio destro, Giorgio Sorial, finito nel mirino. Terrebbe il Lavoro e il Welfare perché, se il governo dovesse sopravvivere, intende seguire da ministro in carica la seconda fase di realizzazione del Reddito di cittadinanza e avviare la riforma annunciata sul salario minimo.

A decidere il destino del leader del M5S potrebbe essere il voto online su Rousseau: Di Maio spera in quella sede di ottenere una nuova legittimazione che ora gli viene negata dal suo stesso entourage

Di Maio dovrà arrivare con qualche concessione all’assemblea congiunta dei parlamentari, convocati questa sera per discutere dell’esito disastroso del voto. E visto il clima che si respira nel Movimento, sa che potrebbe non bastare. «Ci saranno schizzi di sangue sulle pareti, alla fine della discussione», è l’immagine pulp che offre un deputato M5S di lungo corso. In tanti, più che l’addio a un ministero, chiedono a Di Maio di lasciare da capo politico. Qualcuno suggerisce di usare la piattaforma Rousseau per decretare quale debba essere il destino del leader che ha prima portato il M5S al 32% e poi, nel giro di un anno, lo ha fatto affondare al 17%. A sorpresa, l’ipotesi non è stata scartata né dal diretto interessato, né dal padrone della piattaforma che guida le sorti del M5S: Davide Casaleggio. In fondo – è il ragionamento che fa Di Maio – quella del voto online potrebbe essere una strada percorribile per legittimare di nuovo la propria leadership. Anche perché di alternative forti, in questo momento, non ce ne sono.

L’idea che si fa strada è quella di un direttore di 4-5 persone che affianchi il capo politico, con un Dibba pronto a fare “opposizione di governo”, ma bisognerà varare un nuovo regolamento che preveda uno stipendio per i dirigenti di partito

A deputati e senatori riuniti offrirà allora quello che in tanti vogliono da tempo: una leadership condivisa. «Troviamo 5 o più componenti del Movimento, scelti da tutti gli attivisti», propone il presidente dell’Antimafia Nicola Morra. «Si rispecchino le varie anime del Movimento», aggiungono gli uomini di Roberto Fico, «e non sia un circoletto di lacchè del capo». Sotto i colpi martellanti delle correnti interne, si stanno studiando i dettagli. Dovrebbe essere un “Direttorio” – sull’esempio di quello che la sconfitta all’Europee partorì cinque anni fa – composto da pochi membri che affiancheranno Di Maio alla testa di una segreteria più ampia, divisa per aree di competenza. Non c’è ancora nulla di definitivo, ma questa è la direzione. Il progetto è stato pensato anche per far rientrare in gioco Alessandro Di Battista. Per lui ci sarebbe una sorta di condirezione del Movimento, ideata per lasciare Di Maio come capo politico e vicepremier, e permettere a Dibba di fare «opposizione di governo» – così la chiamano – ma dall’esterno, attaccando a briglia sciolta Lega e Pd. C’è un grande “ma”. Prima si dovrà varare una modifica al regolamento per dare uno stipendio ai dirigenti del partito. Senza, per Di Battista diventerebbe complicato mettere insieme il pranzo con la cena e, quindi, accettare.

Le soluzioni però potrebbero non bastare: all’interno del Movimento si sta per aprire una fase di guerra interna contro gli attuali uomini forti, i cosiddetti “mandarini”

Tutto questo, comunque, non basterà. Perché nel Movimento si è ormai aperta una caccia al potere che difficilmente potrà chiudersi con una ricetta da Prima Repubblica come quella della “segreteria di partito” e della “leadership condivisa”. C’è chi cerca vendetta per dei torti subiti, chi invece vuole cogliere l’occasione per guadagnare potere. C’è una corrente nuova, di cani sciolti che si sono radunati, e che tiene dentro il senatore M5S Elio Lannutti, la presidente della commissione Finanze Carla Ruocco, ma anche Gianluigi Paragone, che qualcuno vede aspirare a qualcosa di più, magari a un posto da sottosegretario. E poi nel mirino ci sono i consiglieri di Di Maio. Quelli che con disprezzo, in Parlamento, chiamano «i mandarini»: Alessio Festa, Dario De Falco, Pietro Dettori, Max Bugani. I fedelissimi del capo, accusati di aver esercitato un potere «illegittimo» all’interno del partito, come sulla scelta dei candidati nei collegi uninominali. E adesso, come a Di Maio, per quelle scelte e quegli errori, si chiede di pagare

Sorgente: Di Maio sotto assedio: leadership condivisa per la guida del M5S – La Stampa

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