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Secondo uno studio dell’università di York il settore ha ridotto lo spaccio del 14% e tolto 100 milioni alle mafie

«Già oggi sono arrivate le prime disdette sugli ordini. Eravamo in contatto con investitori canadesi e cinesi ma hanno messo in standby la trattativa perché vogliono capire come accadrà». Marco Tosi è un coltivatore brianzolo che nell’ottobre 2017 ha aperto, insieme a tre soci, «Mec Cannabis», azienda agricola che coltiva infiorescenze con Thc (tetraidrocannabinolo) compreso tra lo 0,2 e lo 0,6 per cento, in pieno rispetto della legge 242 del 2016 che permette la coltivazione e produzione di cannabis legale. Oggi Tosi, così come altre migliaia di coltivatori sparsi in tutta la Penisola, si trova a dover fare i conti con le dichiarazioni del ministro dell’Interno Matteo Salvini, che mercoledì aveva annunciato di voler «chiudere uno a uno tutti i cannabis shop», cioè i negozi che vendono legalmente la cannabis light, tanto che ieri nelle Marche il questore di Macerata ne ha chiusi due.

Il 30 maggio è attesa la sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione che dovranno decidere se, per la commercializzazione, va applicata la legge del 2016 o il testo unico sugli stupefacenti

A permettere oggi l’esistenza di questi negozi non è la legge del 2016 ma una sentenza della sesta sezione penale della Corte di Cassazione che stabilisce essere «legittima la commercializzazione al dettaglio della cannabis light, proveniente dalle coltivazioni contemplate dalla legge n. 242/2016 e recante un quantitativo di Thc inferiore allo 0,6 per cento». Il tema è però spinoso tanto che il 30 maggio è attesa la sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione che dovranno decidere se, per la commercializzazione, va applicata la legge del 2016 o il testo unico sugli stupefacenti: se darà parere negativo, i 15 mila punti vendita aperti in Italia dall’applicazione della legge a oggi potrebbero abbassare la saracinesca per sempre.

L’incertezza

«Siamo abituati all’incertezza, lo Stato un giorno ci dice che una cosa si può fare, e il giorno dopo afferma il contrario. Lavoriamo sul filo del rasoio. Ma campiamo di questo, se cambiasse la legge non potremmo far altro che adeguarci. Rischiamo però sempre grosse perdite», commenta Marco, proprietario di un growshop di Torino. Ma la chiusura di questi negozi avrebbe ricadute disastrose sull’intera filiera della produzione di cannabis sativa. «Per noi il commerciante è fondamentale perché si confronta direttamente col privato, spiegandogli che il prodotto non solo è legale ma anche di alta qualità. E poi la loro chiusura vorrebbe dire mettere in ginocchio pure noi: il 70 per cento del nostro fatturato proviene dai cannabis shop», spiega Tosi.

Negli anni Quaranta l’Italia era il secondo coltivatore al mondo di pianta della canapa, dopo la Russia. Oggi i numeri raccontano di un settore in costante crescita

Attualmente in Italia sono circa 3 mila gli ettari di terreno coltivati a canapa usata per la produzione di cannabis light e, dal 2017, sono state aperte almeno 2 mila aziende agricole, per un totale di 10 mila addetti. Negli anni Quaranta l’Italia era il secondo coltivatore al mondo di pianta della canapa, dopo la Russia. Oggi i numeri raccontano di un settore in costante crescita, con 4 mila ettari coltivati con questa pianta, dieci volte il dato del 2013. E Coldiretti stima un giro d’affari di 40 milioni di euro l’anno proveniente dalla coltivazione e vendita di piante, fiori e semi a basso contenuto psicotropo. Un ettaro di terra coltivato a canapa frutterebbe 4 mila euro l’anno.

Il boom del settore

Secondo uno studio delle università di York e Salerno, la crescita del settore ha provocato una riduzione dello spaccio in Italia del 14 per cento e, di conseguenza, del fatturato delle mafie per almeno 100 milioni di euro. «L’Italia ha enormi potenzialità nella coltivazione di canapa industriale e terapeutica. Vengono nel nostro Paese molti investitori stranieri, soprattutto dal Canada e dagli Stati Uniti, per avviare qui la produzione, ma viste le difficoltà normative e di mentalità, decidono poi di andare in altri Paesi, come Malta», spiega Giuseppe Croci, presidente di Federcanapa. Che mette in guardia sul rischio di associare droga e prodotti legali: «Bisogna essere molto chiari su cosa sia droga e cosa no: l’erba con Thc tra 0.2 e 0.6 per cento venduta nei cannabis shop non lo è. Il ministro Salvini ancora confonde la canapa con la marijuana».

Sorgente: Dalle aziende agricole ai negozi di canapa, una filiera che dà lavoro a 10 mila persone – La Stampa

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