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Il leader non esclude intese con i popolari in Europa dopo il voto. «Restiamo in mezzo, né a destra né a sinistra»

ilario lombardo
roma

Ci risiamo. Luigi Di Maio è tornato a parlare un linguaggio istituzionale ed europeista. Così, all’improvviso, come se il flirt con i gilet gialli che mettevano a ferro e fuoco Parigi, e i cannoneggiamenti quotidiani contro Bruxelles, non ci fossero mai stati. Ora il grillino punta al centro, al grande spazio politico dei moderati, aprendo un canale addirittura con il Partito popolare, considerato fino a ieri l’artefice della deriva dell’austerity nell’Unione.

È l’Europa stessa a fornire l’occasione buona per la svolta. Basta mettere in fila tutti i segnali. L’elogio di Angela Merkel, innanzitutto. In un’intervista a Die Welt, Di Maio ha detto di stimarla, e di non «aver mai attaccato la Germania» (nell’agosto 2016 disse: «Ci credo che Merkel sostiene il Jobs Act. più Renzi distrugge il mercato del lavoro italiano, più la Germania se ne avvantaggia»). In effetti, nei giorni più caldi delle trattative europee sulla manovra, dal M5S facevano notare come gli strali non puntassero mai su Berlino. Di Maio ha apprezzato il sostegno della Cancelliera al premier Giuseppe Conte e la collaborazione fornita dai tedeschi sui centri per l’impiego. Con tempismo perfetto, Di Maio ha pure cominciato a battere contro tutti i nemici di Merkel, da Orban (suo avversario nel Ppe) all’ultradestra tedesca di Adf, arrivando addirittura a dire, ieri, che «il sovranismo non aiuta l’Italia» (a luglio disse: «Sovranismo non è una brutta parola»). Quando poi il presidente della commissione Ue Jean-Claude Juncker è venuto in Italia e ha definito «bugiardi» alcuni ministri italiani, Di Maio ha detto: «Non replico a Juncker». Altre volte lo ha fatto. Sabato La Stampa ha raccontato cosa è successo in quelle ore, durante il colloquio con Conte, quando Juncker ha invitato il premier a persuadere i grillini a partecipare all’asse europeista contro i sovranisti di Salvini: «Possono essere decisivi». E «decisivo» è l’aggettivo che usano spesso i 5 Stelle quando vagheggiano di un ruolo all’Europarlamento da «ago della bilancia», se la maggioranza tra Ppe, Pse e liberali non dovesse reggersi da sola. Di Maio ci spera. L’opposizione ormai gli sta stretta e sogna il M5S come «una forza di governo europea».Certo, il riposizionamento è obbligato, dovuto alle evidenti difficoltà di lanciare un progetto alternativo che non si capisce bene quale sia. E con la prospettiva tremenda di restare da soli a Bruxelles, senza un gruppo, visti travagliati tentativi di raccogliere alleati di peso.

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Ma quella europea è anche una proiezione delle nuove ambizioni nazionali. Nella sfida a Salvini e ai sovranisti, Di Maio intravede, per contrasto, uno spazio politico contendibile: «Dobbiamo puntare al voto dei moderati. Posizionarci al centro, e da lì diventare determinanti». Il «grande centro», come lo chiamano, è un’area che promette di allargarsi e di riempirsi di nuovi attori. Nel M5S osservano i movimenti dentro Forza Italia e il Pd, convinti che l’intenzione di Matteo Renzi sia di rompere dopo le elezioni, creando un nuovo contenitore centrista con chi resisterà allo smottamento di Fi verso la Lega. La strategia del M5S si muove sempre un po’ a tentativi. È come un elastico, in cerca di un equilibrio difficile, tirato da una parte o dall’altra a seconda dei sondaggi. Tiri a destra finché puoi, poi tiri a sinistra stando attendo a non spezzare l’equilibrio. Adesso che l’elastico si è spostato verso sinistra, grazie a una battaglia sui diritti civili in chiave anti-Lega che sta premiando i grillini, Di Maio si premura di bilanciarla parlando di famiglia, natalità, tasse, ceto medio. Secondo Di Maio, bisogna «rosicchiare voti al Pd di Zingaretti» ma con ricalibrature continue «parlando anche alle famiglie e alle imprese». I toni sono mitigati, tagliati su misura di quel grosso corpo elettorale che non ama i tamburi di guerra e chiede più pragmatismo e soluzioni alla propria vita quotidiana. Per dirla con una frase attribuita a Di Maio, «parliamo meno di Franco delle colonie e più di euro in tasca agli italiani». Il riferimento, velenoso, è alla campagna sul Fca francese, quando Alessandro Di Battista trascinò Di Maio in uno scontro con il presidente Emmanuel Macron.

Ora è tempo di lettere al quotidiano dei vescovi e del pentimento sui gilet gialli, arrivato ieri in tv, prima di annunciare la volontà di inserire cinque capilista donne. Di Maio è tornato a fare quello che si era imposto nella fase di accreditamento prima delle elezioni 2018. La strategia è stata messa a punto nell’ultimo mese. La parola d’ordine, imposta dal voto di maggio, è «equidistanza da destra e da sinistra». Una strada non semplice, visto che l’avversario è l’ingombrante alleato di maggioranza.

guarda i video cliccando il link sotto riportato

Sorgente: Tentato dalle sirene del Ppe, Di Maio ora guarda al centro – La Stampa

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