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Il rapporto tra Lega e 5S è ai minimi termini. La tentazione del vicepremier dopo la richiesta del partito di staccare la spina

di Claudio Tito

“Per andare avanti serve un cambio di passo, non si tratta solo di un chiarimento”. Lo stato di crisi endemica in cui ormai vive la maggioranza gialloverde e il governo guidato da Giuseppe Conte è ben descritto in questa frase che Matteo Salvini ripete da giorni e che nella sostanza ha ribadito ieri nell’incontro con il presidente del Consiglio.
Lo stato dei rapporti tra i due soci grillo-leghisti è ai minimi termini. Il colloquio tra premier e vicepremier è stato solo un palliativo. Il segretario leghista ne è consapevole. Soprattutto sa di essere a questo punto non il “capitano” ma il “comandante” di questa alleanza nata dieci mesi fa. Il suo peso è cresciuto dal 4 marzo 2018 e ora vuole farlo valere. Vuole essere lui a decidere. Per questo, al di là della propaganda, le porte di una crisi di governo hanno iniziato a materializzarsi. E le chiavi sono nelle mani del ministro dell’Interno. Che vede nelle prossime elezioni europee non solo un test, ma in primo luogo uno spartiacque.

Le liti dei giorni scorsi e la pace apparente di ieri sono del resto due facce della stessa medaglia. La prima rappresenta l’esigenza e la voglia di porre fine a questa esperienza. L’altra è l’immagine plastica della necessità di non apparire davanti agli elettori come il responsabile dell’ennesima interruzione traumatica di una legislatura. Come si dice in “politichese” è il classico gioco del cerino. Che da sempre accompagna la politica e gli intrighi italiani. Ogni passo, allora, è compiuto per costruire una “fase nuova” che equivale a un nuovo equilibrio dentro la maggioranza e nel gabinetto o una crisi di governo. Tutto insomma “può saltare” ma senza che la Lega se ne assuma la colpa.

Del resto tra i salviniani è ormai conclamato il riconoscimento che dopo dieci mesi di vita, l’esecutivo grillo-leghista è già paralizzato dai veti e dalla corsa verso le europee di maggio. Voto, peraltro, che può costituire l’ufficializzazione del paradosso che questa coalizione sta vivendo: segnare l’inversione nei rapporti di forza tra i due partiti della coalizione governativa. Senza contare che rappresenta nello stesso tempo un test di sopravvivenza per il Movimento 5Stelle. Tutti elementi che certo non aiutano la stabilità. Basti vedere come Conte si sia precipitato ieri a Firenze per incontrare il suo vice che in Parlamento vale la metà dei grillini.

“Mi sono stancato di essere attaccato e soprattutto mi sono stancato che il governo non faccia. Bisogna cambiare passo – è il ragionamento del leader lumbard – dopo le europee nessuno può pensare che si possa andare avanti in questo modo”.
Certo, in questa sostanziale svolta di Salvini hanno giocato un ruolo importante gli ultimi litigi sul decreto che Tria ancora non ha firmato per il rimborso ai risparmiatori truffati, lo scontro sulla manifestazione di Verona che ha fatto riemergere il concetto reazionario di famiglia (“quando si toccano certi argomenti le risposte sono immediate”), le incertezze sulla legge cosiddetta “codice rosso”. Ma c’è stato un momento nei giorni scorsi che ha segnato un passaggio nelle convinzioni di Salvini.

Quando si è tenuta una riunione con l’intera delegazione ministeriale della Lega. E tutti, a cominciare dal sottosegretario Giorgetti, hanno avanzato al segretario una sola richiesta: “Staccare la spina”. Non era la prima volta. Ma è stata la prima in cui il capo del Carroccio non ha frenato gli ardori dei suoi ministri. Il silenzio su questo punto è stato in questo caso più eloquente di tante parole.
Sullo sfondo del dopo 26 maggio, poi, restano dei dubbi che per il ministro dell’Interno iniziano ad essere assillanti. Il titolare dell’Economia, Tria, ha confermato che la crescita nel 2019 sarà – se va bene – pari a zero. La legge di Bilancio si presenta drammatica, da lacrime e sangue. Affrontarla con un atteggiamento competitivo tra Lega e M5S sembra quasi impossibile. Anche perché la probabile batosta che subiranno i pentastellati alle europee li spingerà su una linea di maggiore intransigenza nei confronti dell’alleato. “Oppure – è stato l’interrogativo posto durante il summit dei ministri leghisti – rischiano di rompersi al loro interno. Spaccandosi tra i governasti di Di Maio e Casaleggio, e i movimentisti di Fico e Grillo. A quel punto varrà la pena andare avanti?”.

La crisi di governo a giugno, insomma, non è più un’ipotesi remota per il vicepremier: “Soprattutto se non c’è un cambio di passo”. E non è un caso che Salvini abbia ammorbidito i toni sulla Banca d’Italia e sulla Commissione parlamentare d’inchiesta relativa agli istituti di credito. Come se volesse riconquistare un profilo “istituzionale”. Non è un caso che nella trattativa per le prossime amministrative abbia lasciato a Forza Italia il candidato governatore del Piemonte, ossia la regione più importante chiamata al voto quest’anno. Un modo per lasciare socchiusa la porta del dialogo con Berlusconi se ne emergesse la necessità. E per tutti i leghisti, non è nemmeno un caso che Salvini dal 4 marzo 2018 non abbia tolto dal polso il braccialetto con la scritta che è qualcosa di più di un semplice slogan: “Salvini premier”.

Sorgente: Salvini: “Serve un cambio di passo o può crollare tutto” | Rep

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