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I litiganti del governo impegnati oggi sulle norme per i «truffati delle banche», Alitalia e «Salva Roma». Provvedimento omnibus dal quale il ministro Tria si aspetta «effetti, ma non così forti»

Roberto Ciccarelli

Tutti i principali nodi non affrontati il 4 aprile scorso, giorno della prima approvazione del «decreto crescita», non sono stati ancora sciolti. Anzi, si sono complicati con i casi Siri e Raggi, mentre la campagna elettorale per le europee incombe nella guerriglia tra Lega e 5 Stelle. Oggi il governo «salvo intese» sarà impegnato a trovare un senso nelle norme sui «truffati dalle banche», l’Alitalia e il «Salva Roma».

ULTIMO PER ORDINE di rissa è il salvataggio del debito della Capitale detto «Salva Roma». Il provvedimento è stato bocciato dal ministro dell’interno che si fa fotografare con il mitra. «A Roma regali la Lega non ne fa – ha detto Matteo Salvini – Non ci sono comuni di serie A e comuni di serie B, se in tanti hanno dei problemi aiutiamo quelli che hanno dei problemi, non ci sono comuni più belli o più brutti». L’argomentazione è insidiosa per i 5 Stelle. Da un lato, il «Salva Roma» è ritenuto necessario per fare respirare una metropoli in ginocchio. Dall’altro lato, ci sono gli altri comuni strangolati dall’austerità del patto di stabilità. Sono piccoli, grandi e infuriati.

Il sindaco di Napoli Luigi De Magistris impegnato in una battaglia solitaria sul debito della città ha annunciato il 9 aprile scorso uno «sciopero contro il governo nazionale» nel caso di approvazione del «Salva Roma». L’esecutivo «considera i figli, che appartengono al politicante di turno che è al governo, e i figliastri, finendo ancora una volta per aiutare chi è già stato privilegiato». «Paghiamo noi i debiti di Roma – ha detto l’assessore al bilancio di Milano Roberto Tasca – È indecente la manovra per sanare i debiti di Roma a cui sono stati già concessi cento milioni per le buche nelle strade».

«È una porcata – ha commentato Matteo Ricci, sindaco di Pesaro e presidente delle Autonomie locali italiane (Ali) – Lede il concetto di federalismo e autonomia. Perché i sindaci che ereditano comuni in dissesto non dovrebbero chiedere allo Stato di accollarsi i debiti?». «Avremmo cittadini che pagano due volte: per i debiti di Roma e quelli della loro città nel mio caso ereditati», ha scritto il sindaco di Benevento Clemente Mastella al presidente dell’Anci Antonio Decaro, sindaco di Bari.

I CINQUE STELLE sostengono che l’operazione è «a costo zero» con un risparmio di 2,5 miliardi di euro. Propongono di approvare il «Salva Roma» in cambio di norme a favore di altri comuni indebitati. «Sui comuni non c’è nessuna guerra con gli alleati di governo, mi auguro che si possano rasserenare gli animi – ha detto la vice ministra Laura Castelli – Le soluzioni da adottare sono differenti. Lavoriamo per rimetterli in piedi, dal più grande al più piccolo, ognuno con la sua cura».

O tutti o nessuno, ha detto Salvini, oggi in Consiglio dei ministri. E la fanteria leghista ha rilanciato: la norma «Salva Raggi» andrà inserita «in sede di conversione» del decreto insieme all’ombrello per gli altri comuni. Così facendo la lotta continuerà in parlamento. Questo potrebbe essere anche un favore ai pentastellati. Riveste una norma “ad sindacam” con un provvedimento, tutto da dettagliare, che potrebbe essere utile per Pescara, Catania, Rieti, Torino o Savona. I 5 Stelle lo chiamano «Salva Italia». Lo stesso nomignolo della manovra Monti del 2011, invisa a Salvini e a Di Maio. Il diavolo ama mettere la coda nella miseria della propaganda.

Il «decreto crescita» resta un guazzabuglio da cui il ministro dell’economia Tria si aspetta «effetti, ma non così forti». A questa incertezza restano attaccati i risparmiatori «truffati» dalle banche, stralciati dal decreto prima versione. L’incontro del 19 aprile tra Conte e «Noi che credevamo nella Popolare di Vicenza» e «Coordinamento Don Torta Banche Popolari Venete» non è andato bene. Le due associazioni dissidenti (su 17) non accettano il tetto dei 35 mila euro di reddito o 100 mila di patrimonio mobiliare per avere diritto a un ristoro automatico. «In Veneto abbiamo un risparmio molto più alto quindi siamo lontani dal 90%», sostengono. Le altre associazioni ritengono invece di essere «vittime di una truffa politica» e attaccano M5S e Lega. In mancanza di uno sblocco immediato di questa confusa vicenda «daremo il voto ad altri soggetti». Un senso dovrebbe essere trovato, forse, oggi dopo settimane di attesa in cui la norma è stata più volte annunciata. Salvo intese.

IN QUESTO «OMNIBUS» senza capo né coda c’è anche l’Alitalia. Manca una settimana al 30 aprile per la presentazione dell’offerta vincolante da parte delle Ferrovie dello Stato anche se si ipotizza un rinvio della scadenza. Così come dovrebbe trovare spazio il rinvio a tempo indeterminato per la restituzione del prestito ponte da 900 milioni concesso dallo Stato nel 2017.

Sul tavolo c’è un eventuale ingresso del Ministero dell’Economia nel capitale con una quota fino al 15%. Il governo è alla disperata ricerca di un partner industriale per rilanciare l’azienda. Ricordate le scenate dopo la tragedia del crollo del Ponte Morandi il 14 agosto scorso? E la campagna del governo, con Toninelli e Di Maio in testa, contro Atlantia, il gruppo della famiglia Benetton? Era il tempo delle promesse sulla «nazionalizzazione». Un secolo fa. Fonti alla vigilia del consiglio dei ministri di oggi sostengono che il governo abbia chiesto a questa società di partecipare al salvataggio di Alitalia. La soluzione resta ancora nei cieli della finanza. E il grottesco non manca.

Sorgente: «Decreto crescita», il giorno del giudizio. Salvo intese | il manifesto

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