A sostegno di Pillon c’è anche il ddl 118, a firma di Antonio De Poli (Forza Italia), che introduce anch’esso il ricorso alla mediazione obbligatoria, e il ddl 768 proposto da Maria Alessandra Gallone (Forza Italia) che, oltre a ribadire i punti salienti del ddl del senatore e mediatore familiare bresciano, impone l’affido esclusivo del bambino solo a due condizioni, cioè nel caso in cui il genitore maltratti l’altro coniuge o il minore, oppure nel caso in cui lo manipoli. “La norma,“ fa notare Cristina Tropepi su Lettera Donna “impone [al giudice] di optare per l’affido paritario, salvo le due eccezioni previste, anche se una scelta di questo tipo non tiene conto delle diverse esigenze e i tempi di crescita dei minore. Senza dimenticare che mette sullo stesso piano maltrattamenti e la controversa alienazione genitoriale”. È probabile che ora che il ddl Pillon è tornato in fase referente, questi disegni di legge confluiscano in un testo unificato, anche se il vicepresidente della commissione Giustizia Mattia Crucioli, del M5S, ha assicurato che “il Pillon non sarà il testo base” e che verrà riscritto.
Pillon è autore anche di un’altra proposta, passata più in sordina, che limita la gestazione per altri (Gpa). Il ddl Disposizioni contro il turismo riproduttivo, comunicato alla presidenza del Senato il 25 gennaio scorso, prevede la sanzione fino a un milione di euro per chiunque realizzi la “compravendita dei gameti” e il divieto della trascrizione dell’atto di nascita di figli nati da coppie dello stesso sesso. Forse gli sarà sfuggito, nel suo impegno contro i movimenti LGBTQ+, che la pratica della maternità surrogata viene utilizzata nel 70% dei casi da coppie eterosessuali. Intervistato dall’Adkronos, il senatore ha definito la Gpa “uno schifo, una delle peggiori forme di violenza contro le donne”. A quanto pare peggiore di quella che si consuma quotidianamente nelle famiglie italiane, e che il disegno di legge che porta il suo nome sembra minimizzare.
Ma non sono solo Pillon e la sua cerchia gli autori prolifici di proposte di legge che fanno somigliare questo 2019 sempre di più al 1886. Non si può non citare, a questo proposito, il ddl 950 a firma Gasparri, presentato lo scorso ottobre. Il disegno prevede la modifica dell’art. 1 del codice civile, che attualmente recita “La capacità giuridica si acquista dal momento della nascita”, in “Ogni essere umano ha la capacità giuridica fin dal momento del concepimento”. Una mossa pericolosa, perché affermare che il concepito, a qualsiasi stadio embrionale, anche in quanto zigote, sia una persona giuridica significa equiparare l’aborto – e magari anche la pillola del giorno dopo, che non è abortiva – all’omicidio. La legge 194 fa prevalere la tutela della madre su quella del concepito, perché la madre è già in vita e quindi esercita dei diritti in quanto soggetto titolare di capacità giuridica. Dare lo stesso statuto all’embrione o al feto significa porre la madre che vuole eseguire un’interruzione di gravidanza in una posizione conflittuale dal punto di vista giuridico e etico.
Molto clamore ha suscitato invece la proposta di legge 1238 sull’adottabilità del concepito, a firma del leghista Stefano Stefani, che prevede per la donna la possibilità di dare in adozione il figlio come misura alternativa all’aborto. Il disegno ha un testo molto simile alle varie mozioni anti-aborto proposte a Verona, a Milano e in altre città italiane e ha un’impostazione ideologica molto chiara. Si dice, per esempio, che “l’obiezione di coscienza […] non ostacola in alcun modo l’accesso all’aborto”, che “con la pillola abortiva RU486 si vuole permettere un aborto fai da te […] contribuendo al diffondersi di una cultura dello scarto” e che la 194 fa “manca[re] all’appello una popolazione di sei milioni di bambini che avrebbero impedito il sorgere dell’attuale crisi demografica”. È interessante il fatto che per la Lega la scelta consapevole di una donna di portare avanti una gravidanza per affidare il figlio a un’altra coppia con la maternità surrogata sia “uno schifo, una violenza”, mentre fare pressione affinché una donna che non vuole diventare madre porti a termine una gravidanza indesiderata per poi affidare il figlio a un’altra coppia sia meritevole di una legge con oltre cinquanta firmatari.
Per compensare questo attacco alla libertà delle donne non basta il Codice Rosso, sbandierato come la misura definitiva per arginare il problema della violenza di genere. Oltre alla faticosa approvazione dell’emendamento sul revenge porn, questo provvedimento presenta diverse criticità, come il fatto di trattare la violenza di genere solo come una circostanza di emergenza e non come un problema sistematico, cosa che potrebbe scoraggiare le donne dal denunciare (visto che tre giorni per essere ascoltate da un pubblico ministero sono davvero pochi, senza contare che a solo 1 donna su 3 che si presenta in pronto soccorso dopo aver subìto percosse o violenze sessuali viene consigliato di denunciare). Ne è prova il mancato rinnovo dei finanziamenti ai centri antiviolenza, denunciato dalla rete Di.Re.
Il 3 aprile scorso, Giorgia Meloni, fresca di partecipazione del World Congress of Families, ha presentato alla Camera una mozione in favore della famiglia e di interventi per la natalità. Nell’atto si parla di misure per contrastare “la riduzione delle nascite da madre italiana”, a cui i governi precedenti e l’Europa avrebbero risposto con l’immigrazione, e si invita il governo a porre “la famiglia naturale” al centro dello Stato sociale, a “scoraggiare il ricorso all’interruzione volontaria di gravidanza e sostenere le donne nel percorso della maternità, assicurando lo stanziamento di adeguate risorse per tutte le iniziative che offrano a queste madri un’alternativa all’aborto”. Al momento è in corso la discussione del testo, ma in questo momento storico una mozione del genere è significativa e il suo esito potrebbe aggiungersi alla lunga lista di progetti di legge che con la scusa di proteggere la famiglia o la vita finiscono per ostacolare l’autodeterminazione delle donne.
Al momento, sette ddl di legge si prefiggono questo obiettivo. Intanto il governo si fa vanto di essere dalla parte delle donne, mentre Salvini propone di contrastare la violenza sulle donne con l’istituzione del telefono rosso. Che esiste già, dal 2009. Se gli interessasse davvero tutelare la libertà delle donne, fermerebbe il decreto che è già in discussione in Parlamento, proposto dal suo stesso partito.