0 10 minuti 5 anni

di Carli Bonini

Esclusivo La svolta del comandante generale dell’Arma in una lettera alla famiglia: “Provvedimenti anche per gli ufficiali del depistaggio. Crediamo nella giustizia e riteniamo doveroso che ogni singola responsabilità nella tragica fine di un giovane vita sia chiarita, e lo sia nella sede opportuna, un’aula giudiziaria”

ROMA – Una lettera di quattro pagine su carta intestata “Il Comandante Generale dell’Arma dei Carabinieri”, a inchiostro stilografico e dalla calligrafia rotonda, consegnata a mano la mattina di lunedì 11 marzo a Ilaria Cucchi, spinge la storia della morte del fratello Stefano, le sue conseguenze, oltre un confine che, in nove anni, non era ancora stato superato. Il generale Giovanni Nistri torna infatti a inginocchiarsi di fronte al dolore di Ilaria e a quello dei suoi genitori affidandosi non più soltanto al valore simbolico di un gesto e di parole che condividono un lutto. Ma assumendo un impegno destinato a modificare significativamente il contesto dei due processi che vedono imputati e indagati militari, ufficiali e generali dell’Arma per l’omicidio di Stefano e per il depistaggio nella ricerca delle sue responsabilità. Nistri si impegna con Ilaria e la famiglia Cucchi non solo a procedere disciplinarmente nei confronti degli autori del pestaggio e delle calunnie (i cinque carabinieri attualmente a giudizio nel processo in Corte di Assise), ma a muovere con ulteriori iniziative nel procedimento a carico di quegli otto ufficiali che hanno trafficato nel tempo per coprire la verità. Che si sono avvalsi del diritto al silenzio. Nei cui confronti si sono chiuse le indagini. E di cui, di qui alle prossime settimane, la Procura chiederà il rinvio a giudizio. Un’iniziativa su tutte. Chiedere alla Presidenza del Consiglio l’autorizzazione a costituire l’Arma parte civile nel processo per depistaggio ai suoi militari qualora nella richiesta di rinvio a giudizio appariranno evidenti le circostanze che la vedono parte lesa.

La lettera inviata a Ilaria Cucchi, sorella di Stefano, dal generale Giovanni Nistri, Comandante generale dell’Arma dei Carabinieri

La visita a sorpresa
La lettera, dunque. È la mattina dell’11 marzo quando Ilaria la riceve. E nel modo scelto per recapitarla è a ben vedere un primo corto circuito emotivo. L’ultimo carabiniere in uniforme che aveva bussato alla porta dei Cucchi era stato, giovedì 22 ottobre 2009, un maresciallo che aveva in mano un annuncio di morte di burocratica ferocia. Un invito alla nomina di un consulente di fiducia che avrebbe dovuto presiedere all’autopsia di Stefano. Ebbene, lunedì 11 marzo, alla porta di Ilaria è un generale di brigata. Si chiama Roberto Riccardi. È il portavoce del Comandante generale. Si scusa per il disturbo e dice di avere con sé una busta che il generale Nistri vuole sia consegnata personalmente nelle sue mani.

“Gentile Signora Ilaria Cucchi – è l’incipit – ho letto con grande attenzione la lettera aperta che ha pubblicato sul suo profilo Facebook. Sabato scorso, a Firenze, nel rispondere a una domanda di una giornalista, pensavo a voi e alla vostra sofferenza, che ho richiamato anche nel nostro ultimo incontro. Pensavo alla vostra lunga attesa per conoscere la verità e ottenere giustizia. Mi creda, e se lo ritiene lo dica ai suoi genitori, abbiamo la vostra stessa impazienza che su ogni aspetto della morte di Suo fratello si faccia piena luce e che ci siano infine le condizioni per adottare i conseguenti provvedimenti verso chi ha mancato ai propri doveri e al giuramento di fedeltà”.

Agli occhi di Ilaria, quel riferimento lessicale a “Suo” fratello Stefano con l’uso della maiuscola è qualcosa di più di un vezzo formale. È un risarcimento umano di quella che, nell’aula dove si processano gli imputati dell’omicidio di Stefano, ha vissuto come un’umiliazione. Ascoltare il generale di corpo d’Armata Vittorio Tomasone, comandante provinciale dei carabinieri a Roma quando Stefano fu ucciso, definirlo a più riprese “il geometra Cucchi”.
“Abbiamo la vostra stessa impazienza – prosegue Nistri – perché il vostro lutto ci addolora da persone, cittadini, nel mio caso, mi consenta di aggiungere: da padre. Lo abbiamo perché anche noi – la stragrande maggioranza dei carabinieri, come lei stessa ha più volte riconosciuto, e di ciò la ringrazio – crediamo nella giustizia e riteniamo doveroso che ogni singola responsabilità nella tragica fine di un giovane vita sia chiarita, e lo sia nella sede opportuna, un’aula giudiziaria”.

INTERVISTA Ilaria Cucchi: “Ora mi sento meno sola”

Le responsabilità nell’Arma
La lettera del Comandante generale si avvicina al cuore della questione. Quella che, nel tempo, ha finito per scavare un solco di profonda diffidenza tra Ilaria, la sua famiglia, e il Comando Generale dell’Arma. Che cioè il richiamo all’accertamento definitivo della responsabilità penale dei singoli diventi un alibi per nascondersi e posporre al tempo infinito necessario alle sentenze per passare in giudicato, atti e iniziative che impegnino il vertice dell’Arma nella propria autonomia. Lasciando così i “molti” irrimediabilmente prigionieri della forza di ricatto, spacciata per “spirito di corpo”, dei “pochi”.

“Proprio il rispetto assoluto della legge – argomenta Nistri – ci costringe ad attendere la definizione della vicenda penale. Come vuole la Costituzione, la responsabilità penale è personale. Abbiamo bisogno che sia accertato esattamente, dai giudici, “chi” ha fatto “che cosa”. Nell’episodio riprovevole delle studentesse di Firenze (il riferimento è alla violenza sessuale inflitta da due carabinieri a due ragazze americane nel settembre del 2017, ndr), il contesto era definito dall’inizio. C’erano responsabilità dei militari sin da subito impossibili da negare, almeno nell’aver agito all’interno di un turno di servizio e con l’uso del mezzo in dotazione, quando invece avrebbero dovuto svolgere una pattuglia a tutela del territorio e dei cittadini. In questo caso, abbiamo purtroppo fatti sui quali discordano perizie, dichiarazioni, documenti. Discordanze che saranno però risolte in giudizio. Le responsabilità dei colpevoli porteranno al dovuto rigore delle sanzioni, anche di quelle disciplinari”.

Il cambio di passo
È una premessa che non sembra scostarsi di un millimetro da quanto sostenuto da Nistri negli ultimi mesi (anche su questo giornale). Ma, per la prima volta, ne è diverso il corollario. Rompendo il canone del silenzio, il generale decide infatti di legittimare la scelta di chi, militare dell’Arma e testimone del pestaggio di Stefano, ha deciso di accusare due suoi colleghi. Il carabiniere Francesco Tedesco che, per altro, proprio questa mattina deporrà nell’aula di Corte d’assise. Chiedendo, al contrario degli ufficiali che hanno testimoniato prima di lui tacendo o farfugliando dei “non ricordo”, di essere ripreso televisivamente.
“I tre accusati di omicidio preterintenzionale – scrive infatti Nistri – sono già stati sospesi. Non sono stati rimossi, è vero. Ma è pur vero che se ciò fosse avvenuto si sarebbe forse sbagliato. Faccio al riguardo due esempi. Oggi emerge che uno dei tre – secondo quanto egli ha dichiarato accusando gli altri due – potrebbe essere innocente. Erano innocenti gli agenti della Polizia Penitenziaria che pure erano stati incolpati e portati a giudizio”.

Le prove occultate
Il passaggio su Tedesco è funzionale a quello successivo. A ben vedere ancora più impegnativo. Perché affronta l’onta, persino peggiore del pestaggio, che l’Arma porta nell’omicidio di Stefano: quella del depistaggio. Su cui – ecco la seconda novità – Nistri assume un nuovo impegno. “Indefettibile”.
“Comprendiamo l’urgenza e la necessità di giustizia, così come lo strazio di dover attendere ancora. Ma gli ulteriori provvedimenti, che certamente saranno presi, non potranno non tenere conto del compiuto accertamento e del grado di colpevolezza di ciascuno. Ciò vale per il processo in corso alla Corte d’Assise. E ciò varrà indefettibilmente anche per la nuova inchiesta avviata dal Pubblico Ministero nella quale saranno giudicati coloro che oggi si sono avvalsi della facoltà di non rispondere”.

Nel commiato del Comandante generale, è un ultimo inchino in cui l’omaggio al dolore di Ilaria suona come scomunica della cultura dell’omertà. “Io per primo, e con me i tanti colleghi, oltre centomila, che ogni giorno rischiano la vita, soffriamo nel pensare che la nostra uniforme sia indossata da chi commette atti con essa inconciliabili e nell’essere accostati a comportamenti che non ci appartengono. Con sinceri sentimenti. Giovanni Nistri”. Ma il commiato, nel chiudere la lettera, apre una nuova partita. Ed è il generale Riccardi a illustrarla a Ilaria per averne personalmente discusso con Nistri. Il Comandante generale – le spiega – se la richiesta di rinvio a giudizio degli otto militari accusati di depistaggio ne offrirà giuridicamente lo spazio, è intenzionato a chiedere alla Presidenza del Consiglio l’autorizzazione a costituire l’Arma come parte civile nel processo. È un coraggio che il vertice dell’Arma non aveva avuto al momento del rinvio a giudizio dei cinque carabinieri oggi a processo per omicidio. E che ora invece trova per la catena di comando accusata di averli coperti. Dopo nove anni, il generale Nistri attraversa dunque il suo Rubicone. E quella lettera a una sorella orfana del fratello diventa dunque un messaggio al Paese e ai centomila uomini in divisa che comanda.

Sorgente: Caso Cucchi, il generale Nistri: “Pronti a costituirci parte civile contro i carabinieri” | Rep

Please follow and like us:
0
fb-share-icon0
Tweet 20
Pin Share20