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di Francesco Semprini

L’inchiesta sul Russiagate è giunta alla sua conclusione e il procuratore Robert Mueller non raccomanderà altre incriminazioni rispetto a quelle già in essere. A dirlo è un funzionario del dipartimento di Giustizia nel giorno in cui il procuratore speciale titolare del caso sulle presunte interferenze di Mosca nelle elezioni presidenziali del 2016, ha consegnato al segretario alla Giustizia William Barr, il rapporto sulle sue indagini. Nel caso la notizia fosse confermata il presidente Trump sarebbe salvo dall’impeachment. Il dicastero potrebbe a sua volta comunicare al Congresso, già nel fine settimana, le conclusioni più importanti del rapporto completato da Mueller, come afferma lo stesso ministro Barr.

La consegna del rapporto mette fine a un’indagine durata quasi due anni e che ha gettato ombre sull’amministrazione e sul presidente Donald Trump su cui sono piovute accuse di essere lui stesso almeno a conoscenza delle presunte inferenze della Russia nelle elezioni che lo hanno portato alla Casa Bianca. L’inchiesta che è stata sua volta definita “una caccia alle streghe” da parte del presidente americano, a sottolineare l’accanimento di certi ambienti politici, della magistratura e dell’opinione pubblica nei suoi confronti, ha prodotto una serie di conseguenze nell’ambito della stessa cerchia di collaboratori di Trump.

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Dalle dimissioni del generale Michael Flynn, suo consigliere per la sicurezza nazionale, per aver distorto le informazioni sui suoi contatti con l’ambasciatore russo Sergey Kislyak, alla doppia condanna per frode e altri reati di Paul Manafort, già capo della campagna dell’ex tycoon, nell’ambito di un fascicolo separato nato come costola del filone principale di inchiesta. Fino ad arrivare all’arresto Roger Stone amico fraterno di the Donald accusato di aver contattato, dietro richiesta di alcuni responsabili della campagna di Trump, WikiLeaks per ottenere le email compromettenti per Hillary Clinton trafugate dalle banche dati del partito democratico. Una vicenda che ha visto il 45 esimo presidente americano licenziare l’ex numero dell’Fbi James Comey (il quale aveva succeduto lo stesso Mueller) per la sua indagine “politicizzata” su Trump stesso e sostituito Christopher A. Wray.

Lo stesso inquilino della Casa Bianca ha costretto alle dimissioni anche l’ex ministro della Giustizia Jeff Session, un altro fedelissimo della prima ora di Trump, per la sua ricusazione, ovvero la decisione di astenersi dal caso assegnando la supervisione del caso al suo vice Rod Rosenstein, il quale ha rassegnato le dimissioni subito dopo quelle del titolare del dicastero. Alla guida del dicastero è stato chiamato già “attorney general” durante la presidenza di George H.W. Bush negli anni Novanta che ha spesso parole di sostegno al presidente. “Era la mia prima scelta fin dall’inizio”, ha detto di lui Trump annunciando la nomina considerata dai più cruciale per l’amministrazione. Ora sarà proprio Barr a dover decidere quanto del rapporto condividere con il Congresso e quanto rendere pubblico, considerando anche che la Camera a guida democratica ha votato nei giorni scorsi una risoluzione con cui chiede che il rapporto sia reso comunque pubblico. “I prossimi passi stanno ora ministro della Giustizia Barr. La Casa Bianca non ha ricevuto e non è stata informata sul rapporto del procuratore speciale’’, afferma la portavoce, Sarah Huckabee Sanders aggiungendo: “aspettiamo con ansia che il processo segua il suo corso”.

Sorgente: Russiagate, Mueller consegna il rapporto sulle indagini. Casa Bianca: processo segua il suo corso – La Stampa

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