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Non esiste una definizione universalmente accettata di terrorismo, ma tra le più comuni è quella che ritiene terroristico un atto di violenza contro civili motivato da scopi o rimostranze politiche. Seguendo questa definizione, quanto avvenuto ieri alle porte di Milano pare essere terrorismo bello e buono. Informazioni più dettagliate affioreranno nei giorni e mesi a venire, ma Ousseynou Sy sembrava chiaramente intenzionato a compiere un atto di violenza raccapricciante contro civili e, secondo quanto da lui stesso proclamato, per «fermare le morti nel Mediterraneo».

Un uomo con precedenti per violenza sessuale sui minori faceva l’autista ai bambini

Innanzitutto, vanno fatti i complimenti sia al ragazzino che ha avuto il coraggio e la lucidità di prendere il cellulare e avvertire dell’accaduto, sia alle forze dell’ordine, che hanno sventato una tragedia inenarrabile. Come giusto, bisogna poi porsi delle domande. Giusto chiedersi come sia possibile che un soggetto con precedenti penali (pare per guida in stato di ubriachezza e violenza sessuale su un minore) possa essere stato assunto come autista per bambini. E a livello investigativo è automatico capire come prima cosa se Sy abbia agito da solo, come sembra probabile, o se avesse complici.

Quanto avvenuto va però analizzato dal punto di vista del profilo motivazionale, perché ci potrebbe portare a capire dinamiche che vanno ben al di là dell’atroce tentativo di Sy. Cosa lo ha spinto? La prima motivazione da prendere in considerazione è, logicamente, quella data dallo stesso Sy quando ha preso in ostaggio i bambini. Sy probabilmente pensava, in maniera deviata, che uccidendo bambini italiani avrebbe «vendicato» i migranti morti nel Mediterraneo. Sy è un cittadino italiano di origine senegalese e il suo background migratorio lo avrebbe apparentemente reso particolarmente sensibile alle drammatiche dinamiche relative ai flussi migratori nei nostri mari ed alle relative tensioni politiche che tutti conosciamo.

Voler colpire soggetti inermi per antonomasia ricorda la spietatezza del terrorismo jihadista

Meno plausibile pare invece, almeno al momento, la pista della motivazione jihadista. Nei prossimi giorni gli investigatori setacceranno la vita di Sy, sia nel mondo fisico che in quello virtuale, per capire se avesse interessi e contatti nel mondo dell’estremismo islamista, ma al momento non pare fosse noto per essere religioso né tantomeno radicalizzato. Rimane il fatto che certi aspetti dell’azione di Sy – in primis il voler colpire soggetti inermi per antonomasia, i bambini – ricordano la spietatezza del terrorismo jihadista che abbiamo tristemente conosciuto negli ultimi anni.

Fondamentale è al tempo stesso capire il profilo psicologico dell’attentatore. Dalle prime informazioni si parla di un soggetto con problemi comportamentali, con una serie di precedenti penali. Non è quindi da escludere che le molle che lo facciano scattare e compiere azioni violente siano molte, siano esse legate alla sua vita quotidiana (uno screzio, dei problemi familiari) o ad aspetti della politica che lo toccano particolarmente.

Si può quindi ipotizzare – e solo questo si può fare al momento, quando i riscontri oggettivi sono molto limitati -ad un gesto che tocca i tre livelli di analisi sovracitati. Sy sarebbe un soggetto dalla personalità problematica, che mosso da motivi personali e politici, decide di «farla finita» e di «vendicare» morti di soggetti nei quali si identifica. Nel fare ciò sceglie delle modalità non solo ben al di là della protesta politica (finora anche le ali più accese di chi si oppone alle politiche migratorie di questo o del precedente governo, tipo i centri sociali, hanno al massimo compiuto atti di vandalismo o hanno ingaggiato la polizia in scontri di piazza – nulla a che vedere con cercare di ardere viva una scolaresca), ma che non stupirebbero se adottate dai soldati del Califfato. A tal riguardo non si può certo escludere che l’ispirazione per un tale gesto venga da anni di immagini di attentati perpetrati contro civili nei modi più barbari e disparati e regolarmente amplificati dai media e da Internet (e, va detto, gli eventi in Nuova Zelanda ci mostrano che l’ultraviolenza non è certo un’esclusiva islamista).

Ieri è andata, tutto sommato, bene (anche se il trauma per i bambini coinvolti e le loro famiglie è inimmaginabile). Come era andata bene dieci anni fa, l’ultima volta che si era andati così vicini a una strage terroristica in Italia. Ottobre 2009, sempre a Milano, Mohamed Game, ingegnere libico sposato con un’italiana, con mille problemi personali e di lavoro, aveva cercato di farsi saltare in aria all’interno della caserma Santa Barbara ma per un difetto dell’ordigno ferì solo leggermente il piantone. Motivazioni dichiaratamente jihadiste in quel caso, ma anche Game aveva un profilo personale problematico e aveva parlato di questioni politiche italiane nelle proprie conversazioni su Internet.

Ne sapremo di più, ma è chiaro che, se questo è, il gesto isolato di una persona dalla personalità labile è per natura imprevedibile e si fatica a pensare quale politica, repressiva o preventiva, avrebbe potuto sventare quanto successo ieri. La ultra-mediaticità del terrorismo moderno e il suo conseguente aspetto emulativo, anche da parte di soggetti con diverse motivazioni politiche o spinti da follia pura, è però un aspetto da tenere in considerazione, dovendo generare un dibattito tra il dovere di informare ed il pericolo di fornire lo spunto al pazzo di turno.

Sorgente: Linate, la diffusione del seme dell’odio può spingere le menti labili a colpire – La Stampa

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