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L’autocritica del senatore Paragone: Di Battista torni a combattere. A livello locale il movimento deve combattere una disaffezione crescente di elettori disillusi e un totale caos organizzativo sul territorio

di Alessandro Trocino

A Oderzo, nella tappa di venerdì del «Dignità tour», Gianluigi Paragone era stato piuttosto chiaro: «Abbiamo un problema, così non va. Il ministro Tria si sta mangiando il governo, la politica è ferma». Ma a sera, visti gli esiti del voto in Basilicata, si sfoga e dà voce a un sentimento comune: «È stato un errore tenere fuori Alessandro Di Battista. Deve tornare al nostro fianco e combattere con noi. Perché stiamo diventando forza di sistema. E non basta fare il compitino, dobbiamo tornare a essere tsunami come una volta. Siamo tutti colpevoli di questa deriva. Dobbiamo fare un tagliando e cambiare tutto. Se non siamo capaci, beh allora scansiamoci. Non vale la pena andare avanti così, con questo governo». Sfogo estremo, che però intercetta un sentimento che cresce nella base e in una parte dei parlamentari. La sconfitta in Basilicata va oltre le peggiori previsioni. Dopo qualche iniziale, e ingenuo, ottimismo, si era capito da tempo che il voto di ieri non sarebbe stato il momento della riscossa. La débacle giudiziaria romana, con l’inchiesta su Marcello De Vito, è stata l’ultima tegola.

A livello locale il M5S deve combattere una disaffezione crescente di elettori disillusi e un totale caos organizzativo sul territorio. A tutto questo si aggiunge l’atavico problema della solitudine: anche stavolta il Movimento si è infatti presentato con una sola lista, contro le tredici degli avversari, e decine di candidati e parenti in grado di smuovere il voto di «amicizia». Una purezza encomiabile ma perdente. Tutte cose note e stranote in casa 5 Stelle. Ma il momento della consapevolezza non si è sincronizzato con un’altrettanto celere riorganizzazione. E così ora Di Maio ha intenzione di dare una smossa ai meccanismi organizzativi: «Siamo troppo lenti, dobbiamo accelerare». Anche perché il prossimo appuntamento, il Piemonte, arriverà insieme alle Europee. E l’incubo del sorpasso del Pd è dietro l’angolo.

Il tabù delle liste civiche è saltato, ma bisogna renderlo operativo. Occorre individuare le liste vere, quelle radicate sul territorio. Magari rivitalizzando i vecchi meet up, uccisi in culla perché rischiavano di dare fastidio al manovratore centralista. Serve una struttura più robusta, con i referenti regionali, un maxi direttorio nazionale per materia e la fine del doppio mandato a livello locale. Il 28 aprile si vota in 34 Comuni siciliani e i referenti locali scalpitano. Il candidato di Gela Simone Morgana dà per scontata l’alleanza con le civiche. Sarà così anche a Bagheria, Mazara del Vallo, Monreale. E anche Giancarlo Cancelleri sembra sulla stessa linea nella sua Caltanissetta. Basterà? No di certo. Perché il problema, come dice Paragone, è di «identità». La nuova strategia aggressiva di Di Maio è un tentativo di arginare la forza mediatica del leader leghista. Ma i sondaggi continuano a non premiare il Movimento. Non preoccupano i pochi dissidenti, che contestano la linea ormai apertamente di destra su molti temi, ma i militanti delusi e scoraggiati. Governare stanca e soprattutto impedisce di rinnovare per sempre promesse che difficilmente possono diventare realtà, vincolate a un patto di governo con un alleato che su troppe materie la pensa in maniera diversa. Le vicende giudiziarie romane segnano anche la fine della presunta superiorità morale dei Cinque Stelle. Ma soprattutto non convince la linea di Di Maio, che ha virato su un atteggiamento meno di battaglia. A Di Battista è stata addebitata la sconfitta dell’Abruzzo. E l’uomo immagine del Movimento, il guerriero guevarista da palco, si è messo da parte, offeso. Il risultato è un cambiamento d’immagine del Movimento, che diventa sempre più un partito come altri. Votare per i 5 Stelle era una rivoluzione, un voto contro i partiti, contro il sistema. Ora rischia di diventare una scelta come altre: non di sistema, ma di prospettiva.

Sorgente: Le tensioni nel M5S: «Ora cambiamo tutto o basta con il governo»

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