Il governo del debito, l’aumento è da record: sei miliardi ogni mese | Rep
DI ROBERTO PETRINI
ROMA – Il debito pubblico sfonda tutti i record mentre l’esecutivo gialloverde è a corto di ossigeno e sembra bloccato. Da gennaio del 2018 a gennaio di quest’anno (governi Gentiloni e Conte), secondo i dati di Unimpresa, è aumentato di 71 miliardi al ritmo di 6 miliardi al mese con un incremento del 3,1 per cento; nei dodici mesi precedenti era cresciuto della metà, ovvero 35 miliardi annui, circa 3 miliardi al mese, con un incremento dell’1,5 per cento. Ogni italiano è ormai indebitato per 38 mila euro.
La valanga del debito rischia di schiacciare l’economia. A due settimane dalle scelte decisive sui conti pubblici con il varo del Documento di economia e finanza, e in attesa dei consuntivi dell’Istat, il prossimo 3 aprile sui conti pubblici, c’è apprensione. Sul tavolo del ministro dell’Economia Tria la patata bollente: mentre è nel mirino di Lega e M5S, che chiedono risorse per il decreto banche e per la flat tax, deve varare il decreto crescita per tentare di rilanciare l’economia.
Del resto sui mercati prevale il pessimismo e l’Italia, anello debole della catena, torna ad essere al centro delle attenzioni: lo spread nell’ultima settimana è tornato a crescere e ieri ha chiuso sopra quota 250 punti base, mentre il “numero due” dell’Fmi David Lipton ha parlato di “evidenti vulnerabilità” dell’Italia e ha ipotizzato una nuova contrazione dell’economia italiana nel primo trimestre dell’anno, dopo i due trimestri negativi del 2018.
A suscitare l’allarme è anche il primo mancato obiettivo nel rapporto debito-Pil: il consuntivo 2018 calcolato dall’Istat indica quota 132,1 circa mezzo punto in più rispetto all’obiettivo fissato dal governo, dopo il duro braccio di ferro con Bruxelles nell'”aggiornamento” straordinario al Def del dicembre dello scorso anno.
Lo sforamento, stavolta a livello di previsioni, sembra scontato anche quest’anno: secondo l’Osservatorio di Carlo Cottarelli, l’obiettivo del 130,7 per cento del rapporto debito-Pil in presenza di una crescita limitata allo 0,4 per cento, circa la metà di quella prevista dal governo, salirebbe di 1 punto percentuale.
Inutile ricordare che il governo, pressato da Bruxelles, si è impegnato a privatizzare immobili e società pubbliche per 18 miliardi, pari a circa 1 punto di Pil: operazione assai complessa visti i magri risultati del passato.
A colpire i numeri di Tria è stato soprattutto l’effetto-spread dovuto allo scontro con l’Europa. Per due motivi. Il primo, perché ha provocato una riduzione del Pil a causa dell’incertezza tra gli operatori economici e a causa della contrazione del credito da parte delle banche. Il Pil che era previsto crescere nel 2018 dal governo all’1,2 per cento a consuntivo è stato solo dello 0,9 per cento. Riducendosi il denominatore, cioè il Pil, il rapporto è cresciuto.
Il secondo motivo, va ricondotto sempre all’effetto spread: nel 2018 la spesa per interessi, che attraverso il deficit va ad aumentare il debito, è salita di 2,5 miliardi rispetto alle previsioni. Il Def Gentiloni-Padoan, prima dei fuochi d’artificio gialloverdi nel Def dell’aprile dello scorso anno, prevedeva una spesa per interessi di 62,5 miliardi.
Dopo otto mesi di permanenza di Tria al Tesoro, a fine 2018, il consuntivo Istat parla di una spesa di interessi salita a 64,9 miliardi, circa a 2,5 miliardi in più di cui si è parlato a lungo durante la crisi dello scorso anno e che oggi trovano conferma contabile.
Cifre che confermano che è vero che durante lo scorso anno abbiamo sostituito emissioni decennali e ventennali di titoli di Stato dal costo “storico” molto alto, ma è vero anche che questo non è servito a ridurre la spesa per interessi che nel 2021 salirà a 76 miliardi all’anno, pari al 4 per cento del Pil.
Dunque a pochi giorni dal Def si presentano scelte difficili. Esclusa dalla logica, eppure ipotizzata da una interrogazione parlamentare del Pd, la pericolosa idea di rinviare i “numeri” del Def a dopo le elezioni, la scommessa sta tutta nell’evitare un taglio drastico delle stime di quest’anno ferme ad un improbabile 1 per cento e soprattutto di salvare quelle del prossimo fissate all’1,1 per cento.
La scommessa è sul pacchetto Tria con il tentativo di rilanciare l’economia con il decreto crescita. Una operazione difficile, su imprese e opere pubbliche, perché da fare in tempi stretti e poche risorse.
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