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M5s si appresta a votare la legittima difesa, il provvedimento simbolo di Salvini

di Pietro Salvatori

“Dobbiamo assolutamente definire il perimetro”. Sono giorni concitati per Luigi Di Maio. I mal di pancia sulla legittima difesa da far ingoiare ai suoi per avere migliori margini di trattativa sul Tav (“Riaggiorniamoci, vediamo come va domani”, il messaggio nemmeno troppo in codice inviato dalla Lega all’alleato), la riorganizzazione interna da avviare subito dopo aver messo un punto sull’alta velocità, la dissidenza interna che punge come fastidiosa spina nel fianco. Il tutto in un quadro politico in cui l’elezione di Nicola Zingaretti a segretario del Partito democratico promette di dare sembianze certe alla marmellata che è stata il principale soggetto di sinistra in questi mesi.

Nella war room del capo politico sono ore complicatissime. Il Movimento, con una robusta dose di iper critici al suo interno, sta per dare il via libera al provvedimento “più di destra” che la Lega abbia in canna. E nell’area di Roberto Fico c’è chi già guarda con serio interesse al nuovo frontman del Pd. È in quest’ottica che il leader ha avvertito i suoi: “Il perimetro è quello del contratto di governo, niente maggioranze alternative”. Raccontano che in questi ultimi giorni più d’una sia stata la telefonata tra il capo politico e Fico. Un tentativo di serrare le fila e prevenire fughe in avanti dei suoi uomini più fidati. Il momento è complicato e non ci si può permettere scivoloni. “Ma con Zingaretti cambia tutto – spiega un dirigente di rango vicino al presidente della Camera – abbiamo molte cose più in comune con quella parte lì che con la Lega”. Immigrazione, sicurezza, legalità: sono solo alcuni dei temi sui quali le sensibilità sono più affini. Senza contare i sussidi per la povertà e il salario minimo garantito, tema sul quale lunedì Di Maio ha stuzzicato il nuovo segretario Pd. “Fino a oggi ci siamo connotati come la sinistra del governo – spiega un dirigente vicino al vicepremier – non potremo più continuare così”.

Eccola la grande difficoltà, elettorale anzitutto. Perché i sondaggi danno i Democratici in lieve ma costante risalita e i 5 stelle in lieve, ma costante calo. Per questo Di Maio ha deciso che affronterà frontalmente il segretario del Pd, per cercare di stanarlo e limitare un’emorragia di voti a sinistra, oltre quella a destra già fotografata dai flussi di voto in Abruzzo e Sardegna.

È in questo preciso punto che si materializzano i contorni di un doppio passo, per dirla in gergo calcistico, per tentare di ripartire in un complicatissimo contropiede e uscire dall’assedio della propria area. I colonnelli vicini al capo politico in queste ore usano sorprendentemente termini finiti nel cassetto. “Adesso possiamo tornare a essere davvero il terzo polo tra destra e sinistra”, dice uno. Un altro, con una certa dose di raffinatezza politica, si spinge al paradosso: “Hai presente la centralità di Craxi. Ecco, in uno scenario come quello che ci si prospetta difficilmente il centrodestra avrà mai la maggioranza. E Lega e Pd non si alleeranno mai. Possiamo a tornare a essere l’ago della bilancia”.

Discorsi che stupiscono, dettati anche dalla voglia matta di uscire dall’angolo in cui si è ficcata la più grande forza parlamentare del paese, un filo che sembra riannodarsi alla notte delle elezioni politiche, quando la prima opzione che circolava nel comitato elettorale del Movimento vittorioso per andare al governo era quella del “Pd derenzizzato”. Sembra essere tornati lì, oggi che il ruolo di Matteo Renzi nel Pd è sicuramente più sfibrato, ma anche dopo mesi di crisi di governo e con un esecutivo gialloverde in piedi da mesi.

Impossibile tornare al punto di partenza. Di Maio lo sa, come sa pure di avere più cose in comune ai Dem che alla Lega, come ha confidato a qualche suo collaboratore. E spera che ammiccare ai temi in comune con il Pd gli dia un po’ di aria per tornare a respirare dopo mesi complicatissimi: “Il 22 il reddito minimo va in aula, vediamo chi ci sta”, il pizzino inviato oltre cortina. Un’operazione spericolata. Perché sa bene che difficilmente Zingaretti si presterà al gioco. E perché sa benissimo tra i suoi parlamentari c’è già chi parla serenamente di maggioranze alternative, almeno sui singoli temi. “Ma noi su reddito e salario minimo non dobbiamo fare nessun passo indietro” ha detto il leader ai suoi. A costo di mettere a rischio l’esecutivo. Anche per questo vuole accelerare su quella che sempre più si configura come una segreteria politica, per temi, che verrà sottoposta al voto di Rousseau subito dopo aver chiuso in qualche modo la grana tav. Per poi rilanciare la sfida, al Pd come alla Lega, per uscire da quello che oggi parrebbe un abbraccio mortale. Con una carta, forse, da giocare. Perché in ambienti vicini al capo politico inizia a circolare una voce che fino a ieri era tabù: Alessandro Di Battista starebbe, per la prima volta, valutando la possibilità di candidarsi alle europee.

Sorgente: E Di Maio ne ingoia un’altra | L’Huffington Post

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