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Parla Giovannina Serafini, la ragazza immortalata nel 1974 nella storica foto di Toni Thorimbert e poi emigrata poco più che ventenne in Brasile

Milano, primavera del 1974. O forse del ‘75. Equilibrio un po’ precario, ma col pugno destro chiuso e rivolto verso l’alto. Capelli scuri altezza spalle al vento e sorriso felice.

“La ragazzina” sovrasta tutti, sulle spalle di un amico che la sorregge tra la folla nel mezzo di una manifestazione davanti alla Palazzina Liberty. Lo storico mercato della verdura, a quel tempo concesso in usufrutto a “La Comune”, il collettivo di Dario Fo e Franca Rame che lo trasformarono in spazio politico e teatro dei propri spettacoli.

Probabilmente quel giorno era la festa per la vittoria del No al referendum sull’abrogazione della legge sul divorzio, mentre i due celebri attori e registi meneghini stavano regalando al pubblico Mistero Buffo. O, forse, era la tradizionale manifestazione di studenti e lavoratori per il Primo Maggio.

Poco importa, perché quell’immagine scattata in bianco e nero da Toni Thorimbert per il giornale “Lotta Continua” e poi ripresa a ripetizione dai quotidiani nazionali la fece diventare, “protagonista inconsapevole”, come sostiene lei stessa, simbolo di un’intera generazione già allora in lotta e subbuglio per rivendicare diritti sociali.

Giovannina Serafini, oggi 62enne, ai tempi appena 18enne, doppiamente emigrata, prima dalla Calabria nel capoluogo lombardo e poi da lì in Brasile – dove recentemente, ricordiamolo, ricorreva l’anniversario dell’assassinio dell’attivista Marielle Franco – è diventata, senza volerlo, una specie di icona femminista.

Circa tre anni fa, facendo zapping tra un canale e un altro, incrocia finalmente – per fortuna e per destino – proprio Thorimbert intervistato su Rai International. Quel fotografo che «mi ha cambiato la vita», come ribadisce lei stessa nella nostra telefonata transoceanica. E come testimonia uno scambio di messaggi tra i due, a distanza di più di 40 anni, pubblicato sul sito personale di Thorimbert.

Passa il tempo ma la storia – e la lotta – si ripete, o quasi.

Quarantaquattro anni dopo, un’altra giovanissima è stata immortalata in una foto diventata virale sui social. Siamo sempre a Milano. È il 2 marzo 2019. “People. Prima le persone”: manifestazione nazionale antirazzista, contro le politiche sulla sicurezza e l’immigrazione del governo Salvini-Di Maio-Conte.

Nel mezzo del cammino Giulia Viola Pacilli, 23 anni, alza in aria un cartello il cui messaggio in stampatello è chiaro: «Meglio buonista e puttana che fascista e salviniana». La giovane attivista non fa in tempo a salire sul camion dei Sentinelli (una delle realtà promotrici dell’iniziativa) per esporre il cartello dall’alto che la sua foto finisce immediatamente online. Condivisa sui social anche dal ministro Salvini, sotto il cui post si scatenano centinaia di insulti contro la ragazza. Ripubblicati poi dalla stessa, tramite screenshot, sulla sua pagina Facebook per testimoniare l’odio del web.

Già a febbraio 2018, al corteo antirazzista di Macerata, dopo la strage di neri di Luca Traini, aveva marciato con un cartello che recitava: “Stranieri, non lasciateci soli con i fascisti”. Ma raccolse minacce, improperi e insulti sessisti della peggiore specie.

Questa nuova foto dal corteo meneghino fa il giro del globo e non sfugge neanche a Giovannina. «L’hanno condivisa alcuni amici in Italia tramite i loro account – ci racconta la signora ormai naturalizzata carioca – e ho pensato, che quella ragazza fosse davvero coraggiosa».

 

Sebbene lei non mostrasse alcun cartello con un qualche messaggio politico scritto sopra come ha fatto Giulia, l’Italia ha una nuova “Giovannina” secondo lei?

Non saprei. Sicuramente Giulia si è resa molto più protagonista di me. Ha espresso chiaramente il suo pensiero, senza paura, appunto. Io invece mai mi sarei aspettata di finire sulle prime pagine dei giornali e poi anche in diverse mostre fotografiche e pubblicazioni negli anni a venire. Ormai diventa tutto e subito di pubblico dominio. Lei ha scelto giustamente di esporsi, e ha fatto bene, perché bisogna sempre saper prendere posizione e battersi per i diritti, che non sono più un fatto scontato in alcune parti del mondo.

 

Come faceva lei, del resto, quando era attivista nella Milano degli anni ’70.

Si manifestava sempre ed era molto forte il movimento di lotta per la casa. Io facevo parte del movimento studentesco che appoggiava le occupazioni. Una era nella mia zona, a Quarto Oggiaro. Avevo aderito a Lotta Continua e per qualche tempo sono stata anche rappresentante del collettivo studentesco dell’Ottavo Liceo scientifico, che oggi è il Liceo Bottoni. Frequentavo anche alcuni gruppi parrocchiali, ma ero molto giovane e non sempre avevo il permesso di stare fuori. Infatti, il giorno in cui Thorimbert mi ha immortalato, mi pare fosse una domenica, avevo da poco compiuto 18 anni e i miei iniziavano a concedermi maggiore libertà.

 

Sul sito personale di Thorimbert è riportato il carteggio, o meglio, lo scambio via Messenger che c’è stato tra voi quasi 4 anni fa. Lei lo ha ringraziato, perché attraverso quella foto «ha fatto conoscere a sua figlia un lato del suo passato di cui va fiera».

Sì, è così. L’ho visto in tv durante la trasmissione “Camera con vista” di Rai International e mostrava quella foto. Non ci potevo credere, ho detto «ma quella sono io!». Si tratta di uno scatto che ha segnato la mia vita! Ero convinta che fosse stata scattata da un’altra fotografa, quindi grazie ai social – che sono utili per queste cose – l’ho contattato. Nemmeno lui ci poteva credere che fossi proprio io.

 

Quindi, col pugno chiuso in aria festeggiava il Primo Maggio o la vittoria del No al referendum sul divorzio del maggio ‘74?

Ero e resto convinta che fosse il Primo Maggio, ma lo stesso Thorimbert in un’intervista mi ha corretto, secondo lui era la manifestazione post referendum. Ma ho ricordi precisi: era una domenica e a sorreggermi c’era un amico conosciuto durante le occupazioni, che non vedevo da un po’, ed è stato lui a sollevarmi e a darmi il “palcoscenico” per quello scatto.

 

Torniamo al suo impegno. Lei non era solo molto giovane, era anche una ragazza e in quegli anni scoppiò anche la questione di genere.

Esatto, per questo anche io non esitavo a schierarmi e vivevo con passione l’impegno studentesco. Non avevo alcun dubbio sulle mie idee. Sono cresciuta in una famiglia operaia, le idee di uguaglianza e partecipazione erano alla base di tutto. Mio padre aveva lavorato in una fabbrica della Pirelli, mio nonno era stato antifascista, poi è emigrato in America. Noi giovani allora non eravamo da meno, ci battevamo, inneggiavamo a Marx e intonavamo l’Internazionale. Quando sono arrivata qui in Brasile, ho proseguito nei movimenti, soprattutto quello femminista.

 

Ricordiamo che in queste ore ricorre l’anniversario dell’omicidio di Marielle Franco, politica e attivista del Partito Socialista e Libertà.

È stato terribile, ci ha toccato molto da vicino. Per fortuna i suoi presunti assassini, due ex agenti della polizia militare, sono stati catturati due giorni fa. Nei mesi scorsi ci sono state manifestazioni di protesta a ripetizione e io non me ne sono persa una.

 

Tra l’altro in Brasile adesso c’è Bolsonaro, che clima politico e sociale si respira? Oltre a Marielle il Sudamerica piange ancora migliaia di Desaparecidos.

La situazione è molto complicata e persistono forti differenze sociali. Lula e Dilma avevano creato un buon sistema di Welfare, avevano cercato di contrastare la povertà, invece Bolsonaro sta smantellando l’istruzione pubblica. E sostiene che non tutti hanno il diritto di iscriversi all’Università.

Per quanto riguarda i Desaparecidos ricordiamo che in Brasile c’era anche un gruppetto di italiani uccisi intorno alla metà degli anni ’70. Tra questi anche un ragazzo emigrato dalla Calabria, Libero Giancarlo Castiglia, militante comunista detto Joca, la cui storia è stata di recente raccontata nel libro del giornalista Alfredo Sprovieri. Castiglia aveva aderito e condotto la resistenza contro il regime militare nella regione dell’Araguaia.

 

Anche lì ci sono state molte manifestazioni di protesta.

Qualche mese fa c’è stato un grande movimento, partito dalle donne “EleNao”, prima delle elezioni presidenziali. Bolsonaro si è schierato contro i più poveri, ha offeso i gay e le donne. Anche io e mia figlia, 25 anni, siamo scese in piazza per manifestare. Tra l’altro noi abitiamo a Belo Horizonte, nello Stato del Minas Gerais, zona ricca di miniere dove sono nate le prime rivolte per l’indipendenza dal Portogallo.

 

Nell’ultimo periodo, in realtà, si manifesta molto sia in Europa, sia oltre oceano, contro il cambiamento climatico, contro la violenza sulle donne, per i diritti in generale. In Italia c’è anche un ritorno di intolleranza e razzismo. Cosa pensa?

Bisogna manifestare e schierarsi. È necessario ora più che mai. E ripeto, ammiro ciò che ha fatto la giovane Giulia. Ciò che è terribile e mi spaventa è la violenza a cui ci si espone. È inaccettabile che chi difende cause sacrosante, sia oggetto di odio e offese di ogni tipo. Io infatti ho paura a usare i social, perché non sopporterei tutto ciò.

 

Lei è emigrata doppiamente, prima dalla Calabria a Milano e poi in Brasile, perché questa scelta?

Sono nata e cresciuta fino ai 9 anni in provincia di Cosenza, a Campana, nell’entroterra silano. Mio padre aveva già trovato lavoro in fabbrica a Milano, quindi lo abbiamo seguito. Ho frequentato lì le scuole superiori e l’università. Studiavo architettura al Politecnico, ma la mia vera passione sono sempre state le Belle Arti. Frequentando le occupazioni ho conosciuto diverse persone che erano state in America Latina e ho deciso di trasferirmi anche io.  Ma, a dire il vero, non pensavo di restare qui per sempre.

 

Anche il Brasile è terra di immigrazione?

Qui ci sono molti italiani. Si pensa che siano tutti in Argentina, ma non è così. Infatti ho iniziato a lavorare insegnando italiano ai dirigenti della Fiat e di altre grandi industrie, come la Teksid che avevano a che fare con italiani. La nostra lingua qui è molto conosciuta. Ma ho viaggiato molto.

 

Con la sua Calabria che legame ha mantenuto?

Sono tornata recentemente. Ho anche partecipato a un dibattito al Teatro dell’Acquario di Cosenza, organizzato dalla Fondazione Lilli Funaro su Brasile e immigrazione e abbiamo ricordato proprio la storia del giovane comandante Castiglia. Sono rimasta molto colpita perché sono ragazzi molto interessati a ciò che avviene da questa parte del mondo e impegnati nella difesa dei diritti umani e sociali. Con o senza social, non bisogna mai abbassare la guardia.

 

Dopo qualche ora dalla telefonata arriva un nuovo messaggio di Giovannina: è un link Instagram della pagina “Brazil de Fato”: un gruppo di “mulheres” (donne), hanno occupato una “fazenda”, un’azienda agricola di proprietà di Joao de Deus, falsa guida spirituale e medium guaritore arrestato recentemente con l’accusa di stupro ai danni delle sue pazienti. «Le lotte continuano, per fortuna!», scrive Giovannina.

Sorgente: «Bisogna manifestare e schierarsi». La ‘ragazzina’ di Thorimbert 45 anni dopo – DINAMOpress

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