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«Possiamo svilupparci digitalmente in maniera sicura nei prossimi anni se tutta la tecnologia chiave proviene comunque da fuori?». Se lo domandava alcuni giorni fa sul Corriere della Sera Vittorio Colao, ex Ceo di Vodafone e vicepresidente della Ert (European Round Table of Industrialists), l’unione dei 50 gruppi industriali leader in Europa. L’affaire Huawei sta mettendo in discussione l’intero sviluppo tecnologico di un Continente come il nostro “povero” di grandi player tecnologici e digitalmente dipendente da pochi grandi piattaforme cino-californiane.

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Il 5G sotto questo aspetto è la tempesta perfetta. In Italia Huawei ha investito 162 milioni di euro solo nel 2016. Sviluppa la rete 5G a Milano e Bari e ha in pista una cinquantina di progetti. Come precisa Fabio Moresi, Wireless Marketing Manager, Huawei Italia: «Siamo capofila con Tim e Fastweb della sperimentazione 5G nell’area di Bari e Matera; grazie a un investimento complessivo di 60 milioni di euro in 4 anni, il progetto fornirà una copertura 5G completa delle due città entro il 2019». Hanno iniziato la ricerca sul 5G nel 2009 e finora hanno investito 600 milioni di dollari in questo settore. In Italia in pratica il 5G è fortemente in mano alla Cina.

Il timore è che il 5G sarà la mossa da scacco matto della Cina nella corsa all’intelligenza artificiale e all’internet delle cose. A questo si aggiungono i timori sullo spionaggio. Ad oggi non ci sono prove pubbliche che Huawei abbia operato in questo senso ai danni di società occidentali. Il problema però – come emerge dal rapporto del Congresso americano del 2012 – è che non c’è una chiara risposta ad una domanda comunque legittima: se il Governo cinese dovesse chiedere a Huawei o Zte di spiare aziende o governi stranieri, queste avrebbero davvero la possibilità di opporsi? Quindi il problema esiste ed è legittimo.

L’Europa come istituzione non ha ancora preso una posizione. La Gsma, l’associazione degli operatori mobili globali, ha però già detto che una messa al bando per Huawei come quella chiesta dall’amministrazione Trump sarebbe un grave danno per le aziende telecom europee, perché minaccia i rifornimenti sulla supply chain globale delle componenti, alza i costi e mette a rischio gli investimenti nel 5G. Secondo l’associazione occorre invece istituire nuovi sistemi di test per le reti che garantiscano l’adesione ai più alti standard di cybersecurity.

Una soluzione sostenuta da Vittorio Colao ma anche da grandi big europei delle tecnologie è quella di creare in ogni nazione l’equivalente della Gchq-Ncsc, l’agenzia britannica incaricata di sicurezza e intelligence digitale. Proprio questa agenzia nei giorni scorsi ha provato a ridimensionare il pericolo Huawei. Oggi, secondo loro, non esisterebbero prove che abbiano messo in atto atti di spionaggio o hacking attraverso le proprie tecnologie. Tuttavia, non si sono mossi – ed è questa l’accusa vera – per rendere i propri software facilmente ispezionabili. Ed è questo il vero punto su cui riflettere, secondo Colao: non tanto lo spionaggio quanto la vulnerabilità dei dispositivi 5G. La soluzione indicata potrebbe essere quella di istituire una divisione legalmente riconosciuta in grado di ispezionare, certificare, investigare e magari anche di dialogare con aziende e Pa per valutare nuove opzioni da adottare.

C’è però anche chi teme che una eccessiva burocratizzazione della sicurezza possa in qualche modo frenare lo sviluppo del 5G in Europa. Tra gli operatori di tlc europei che finora non si sono approfittati del momento di debolezza di Huawei aggredendo le loro quote mercate la preoccupazione è anche quella che il braccio di ferro con i cinesi possa in qualche modo frenare l’innovazione e mettere a rischio gli investimenti in reti che sono stati fatti. A rompere il ghiaccio un post del Ceo Börje Ekholm di Ericsson il più grosso operatore di tlc europeo che ha provato a spostare il dibattito dalla sicurezza che ammette però essere un rischio alla mancanza di investimento e al possibile immobilismo che l’incertezza può creare. Per essere più espliciti, aggiunge Federico Rigoni, ad di Ericsson Italia: «La discussione sul 5G a livello globale è focalizzata sulla sicurezza. Quando si parla di 5G, la sicurezza non è una componente aggiuntiva, ma viene integrata sin dall’inizio come parte del processo di standardizzazione. Ecco perché il 5G è la generazione di reti più sicura di sempre».

Tuttavia, lo standard 5G non basta per dire che una rete sia sicura. Considerato che il 5G sarà un’infrastruttura critica, ciò che determinerà realmente la sicurezza di una rete sarà la tecnologia di sicurezza e le procedure operative che verranno messe in cima alle funzionalità standardizzate”. Secondo il Ceo, insomma, il problema vero è economico e legato all’innovazione. Vale a dire la mancanza di spettro, le poche aste (in Europa alcuni Paesi non hanno ancora indetto la gara per il 5G), i costi (si legga sicurezza) e le normative che bloccano il progresso. Come dire nuovi test sulla sicurezza sono costosi e non aiutano il business.

Sorgente: 5G, l’affaire Huawei divide l’Europa. Da occasione d’oro a tempesta perfetta

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