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E’ miseramente fallita l’operazione “23 Febbraio”, ovvero il tentativo di violare le frontiere venezuelane con tir e camion contenenti “aiuti umanitari”. Di umanitario non c’era niente e gli aiuti erano destinati all’opposizione di ultradestra: infatti i camion servivano a trasportare in territorio venezuelano armi, munizioni e sabotatori, cioè personaggi e materiali utili allo scatenamento della guerra civile sullo schema già visto in diversi altri paesi, tra i più noti Ucraina e Siria.

 

Il format era quello classico, che aveva visto la sua inaugurazione nella ex-Jugoslavia e si era ottimizzato in Romania, quindi applicato con alterni successi in Medio Oriente e America Latina, dove però ha avuto la sua disfatta più cocente proprio in Venezuela prima e in Nicaragua successivamente.

 

Soprattutto, l’obiettivo di sabato scorso era quello di violare le frontiere venezuelane come dimostrazione dello scollamento del sistema, di una presunta incapacità del governo di mantenere il controllo su Forze Armate e Guardia Nazionale, blandite e minacciate da Casa Bianca e Guaidò. L’errore clamoroso è stato quello di credere alle menzogne della loro stessa propaganda, che racconta di una emergenza umanitaria e di un governo privo di consenso e tecnicamente non in grado di controllare il Paese.

 

Ma la tenuta sociale e territoriale del governo è saldissima, il sostegno politico viene reiterato da milioni di venezuelani che nelle città come alla frontiera difendono il progetto bolivariano e l’integrità della patria. L’emergenza umanitaria non c’è, se si eccettuano le continue rapine delle risorse venezuelane operate dai paesi-guida del capitalismo che per loro prevedono la sacralità delle proprietà ma per i loro avversari applicano invece il furto e il saccheggio sfacciato e continuato.

 

La giornata di sabato doveva essere accompagnata da un concerto nella zona di frontiera tra Colombia e Venezuela. Si dovevano esibire cantanti trasformati per l’occasione in ipotetiche star. Un concerto ridicolo finanziato da un miliardario che, non per caso, ha disposto duecento metri di spazio vigilato tra i ricchi e i poveri che vi assistevano. Uno spettacolo francamente penoso e per colmo sponsorizzato dalla Colombia. Ovvero, un narco-stato simbolo di ogni abominio in termini di violazione dei diritti umani, che uccide a migliaia gli esponenti dell’opposizione, che è detentrice del maggior numero di sfollati in un paese in pace e che ha generato la fuga di 6 milioni di colombiani in Venezuela.

 

Detto quindi della mobilitazione straordinaria che ha reso ridicola l’adunanza golpista, due sono state le novità sostanziali di sabato. La prima è stata la rottura delle relazioni politiche e diplomatiche con la Colombia, decisa unilateralmente dal Venezuela. La seconda è che Juan Guaidò, l’autoproclamato presidente del nulla, è scappato dall’ambasciata colombiana a Caracas a bordo di un elicottero che lo ha portato nella zona colombiana della frontiera.

 

L’idea era quella di farlo entrare trionfante in Venezuela dopo lo sfondamento “umanitario” della frontiera ma, alla fine, si è dovuto accontentare di una mesta riunione con il presidente colombiano Duque, quello cileno Pinera e Luis Almagro, il funzionario USA al vertice degli OSA. Le immagini di questa conventicola golpista riunita con espressione attonita raccontano più di qualunque report la sconfitta patita.

 

Come è noto Guaidò non potrà rientrare in Venezuela, dove lo attende l’arresto. C’è dunque adesso da stabilire cosa fare con un personaggio da operetta che si è reso ridicolo di fronte al mondo. Domani si riunirà con il Gruppo di Lima e valuterà opzioni diplomatiche ridicole, come tutte le iniziative fin qui prese.

 

Infatti, pur concio di non contare nulla, in più di 30 giorni ha dato ordini perentori, firmato lettere, scambiato telefonate e preso impegni immaginari ed ora si trova nella poco invidiabile situazione di inutile ingombro senza più nemmeno una residenza fissa. Perché lui è l’emblema della sconfitta. Su di lui, addestrato da anni e finanziato a dovere, aveva puntato la Casa Bianca, convinta che avrebbe prodotto una sollevazione popolare. In realtà nemmeno la stessa opposizione gli ha dato credito e l’unica cosa che si è sollevata è stata la polvere generata dalle pale dell’elicottero che lo ha portato via dal Venezuela.

 

Fallita l’ennesima spallata al governo resta ormai l’opzione militare, tutt’ora sul tavolo per quanto di difficile realizzazione, che prevede l’intervento diretto di truppe colombiane e/o brasiliane. In alterntiva, la prosecuzione dello strangolamento economico e commerciale. L’opzione militare è decisamente quella più pericolosa perché la pace e la stabilità della regione verrebbero minate definitivamente.

 

Ma le controindicazioni non mancano. La Colombia non ha le capacità militari sufficienti per vincere e il Brasile ha nei suoi stessi militari il primo No che s’annuncia uno scoglio difficile da superare. Bolsonaro non ha ancora finito di capire come ci si muove nel Planalto e difficilmente può dichiarare guerra ad un paese storicamente amico. Dunque la Colombia potrebbe anche iniziare il conflitto e recitare il ruolo che i turchi ebbero in Siria, ma poi senza il coinvolgimento diretto degli USA, a breve-medio termine il Venezuela avrebbe la meglio e le conseguenze sarebbero imprevedibili per il sistema di potere misto di narcos e politica che governa Bogotà. Dovrebbero quindi, da subito o poco dopo, entrare in gioco le truppe statunitensi.

 

E qui nascono i problemi, perché i terroristi riuniti nello studio ovale possono anche continuare a sognare una simile ipotesi, ma il Pentagono ha perfettamente chiaro che portare soldati USA in Venezuela sarebbe un disastro politico e militare per Washington. Il Congresso ha già dato l’alt ad ogni opzione militare ed anche lo scenario internazionale è sfavorevole all’ipotesi: Onu, OSA e Caricom sostengono Maduro, la UE ha espresso il suo rifiuto ad una azione militare e il Gruppo di Montevideo ha ripreso i suoi lavori per una soluzione diplomatica della crisi.

 

Russia e Cina hanno ripetutamente ammonito Washington dal provare ad attaccare il Venezuela e sono entrambe storie e culture poco inclini a sparate propagandistiche. Si può discutere su quale sarebbe il livello del loro sostegno al Venezuela, ma non che ci sarebbe e nemmeno del peso notevole che avrebbe.

 

E’ tutto meno che conclusa la vicenda, ma intanto si può dire che non è andata come Washington pensava e voleva che andasse. La Casa Bianca si lecca le ferite: nessuno ha fatto caso alle sue minacce e alle sue offerte. Nessuno ha preso sul serio una amministrazione composta da delinquenti internazionali di convinzioni nazistoidi e, dopo la sconfitta in Siria, l’abbandono dell’Afghanistan e il fiasco in Nicaragua, il fracasso in Venezuela rappresenta l’ennesima sconfitta di una presidenza ridicola.

 

Quanto ai paesi europei che avevano dato ultimatum e riconoscimenti illegittimi e precoci, nessuna sartoria internazionale sarà in grado di rattoppare i buchi sulle ginocchia, così stupidamente genuflesse davanti ad una amministrazione di criminali incapaci.

Sorgente: Venezuela, la figuraccia dell’impero

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