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Luigi Di Maio, vice premier e ministro del Lavoro e dello Sviluppo Economico, durante l’evento del Movimento 5 Stelle sul reddito di cittadinanza a Roma il 22 gennaio 2019 (Ansa)

fotografia: Luigi Di Maio, vice premier e ministro del Lavoro e dello Sviluppo Economico, durante l’evento del Movimento 5 Stelle sul reddito di cittadinanza a Roma il 22 gennaio 2019 (Ansa)

Il contributo alla risalita del Pil? Secondo i calcoli non vale più dello 0,1-0,2%. Per il ministro Luigi Di Maio il Reddito di cittadinanza varrà 8 miliardi e altri 5 sono legati all’anticipazione delle liquidazioni agli statali. Ma senza investimenti l’effetto anticrisi resta limitato

di Dario Di Vico

Saranno i 13 miliardi che, secondo le speranze del governo, andranno in circolo nell’economia reale grazie al reddito di cittadinanza e ai pensionamenti quota 100 a salvare il Paese dalla recessione? Così sembra credere il ministro Luigi Di Maio che lo ha detto esplicitamente ieri presentando il sostegno alla domanda interna come la strategia del governo per risollevare il Pil ed evitare che il 2019 possa essere ricordato in futuro come l’ennesimo annus horribilis (leggi anche: Pil Italia -0,2% nel quarto trimestre È recessione tecnica).

A incoraggiare il ministro nel coltivare questa speranza può aver influito l’indice di fiducia di gennaio, che ha visto scendere di nuovo il dato riferito alle imprese e risalire invece quello delle famiglie consumatrici. Comunque secondo i numeri forniti da Di Maio il reddito di cittadinanza varrà da aprile 8 miliardi e altri 5 sono legati invece all’anticipazione via banche del trattamento di fine servizio (Tfs) degli statali pre-pensionati. Se però è facile pensare che la liquidità messa a disposizione di soggetti che rientrano nella povertà assoluta e di disoccupati venga spesa quasi immediatamente in consumi di base (cibo, medicinali e tessile-abbigliamento), non è detto che i 5 miliardi del Tfs seguano l’identica strada. Sono differenti i percettori.

I prepensionati potrebbero non avere le stesse esigenze immediate dei poveri assoluti e dei disoccupati e in più su di loro potrebbe contare la tradizione: il Tfs è considerato dagli italiani un “gruzzolo” accantonato e di conseguenza è possibile che una volta incassato prenda la strada del risparmio più che quella dei consumi. Tra l’altro non sappiamo ancora quanti statali utilizzeranno il provvedimento di quota 100 (la stima del governo è 150 mila) e quindi a quanto potrebbe arrivare il monte-Tfs immesso in circolo.

Ma anche se fosse vera l’ipotesi più ottimistica sostenuta da Di Maio il contributo dei 13 miliardi alla risalita del Pil non appare così straordinario. Da calcoli che si possono fare non equivarrebbe a più dello 0,1-0,2% anche perché non stiamo parlando di una manovra che parte da domani ma avrà i suoi effetti quando le sorti del Pil 2019 saranno comunque già pesantemente segnate. La domanda che ne consegue è fin troppo lineare: in queste condizioni può il governo ritenersi assolutamente convinto di possedere le armi utili per combattere la recessione? La risposta che viene, soprattutto dal fronte degli industriali, è un secco No.

Sia chiaro, il tema del rafforzamento della domanda interna dovrebbe stare a cuore a tutti e infatti economisti come Innocenzo Cipolletta, pur di matrice confindustriale, sostengono che un Paese come il nostro non può far perno solo sull’export. Ma per un rilancio robusto della domanda interna occorrerebbe agire su una serie di fattori strutturali quali la bassa partecipazione al lavoro e il livello dei salari. Il rebus di una domanda interna scadente non può risolverlo il reddito di cittadinanza, come a suo tempo non l’avevano sciolto gli 80 euro.

Se l’impostazione di Di Maio al di là delle immediate esigenze di comunicazione post-shock Istat restasse la strategia-cardine del governo anche per le prossime settimane le divergenze con le imprese sarebbero destinate inevitabilmente ad allargarsi. Il presidente di Assolombarda Carlo Bonomi nel confronto milanese con il premier Giuseppe Conte ha chiesto «una manovra compensativa» che abbia al primo punto lo sblocco delle 400 opere pubbliche già finanziate. Perché Conte non ha risposto subito positivamente? Il giudizio degli addetti ai lavori è che a palazzo Chigi si rendono conto di non sapere adoperare il cacciavite. Fuor di metafora, di non avere le capacità tecnico-amministrative per mettere in sinergia il superamento del Patto di stabilità interno, il codice appalti, il sistema delle autorizzazioni, il public procurement. Non è un caso che sin dal suo insediamento il ministro Giovanni Tria abbia battuto sul tasto degli investimenti pubblici (abbia replicato anche ieri) e però in concreto non abbia portato a casa granché.

Se queste sono le annotazioni da fare sulla strategia anti-recessione del governo, va segnalato come il fronte dei critici si stia allargando in quantità e qualità. Tutto era partito dalle mobilitazioni delle madamin e della petizione torinesi pro-Tav ma nella prossima settimana due avvenimenti serviranno a rafforzare il partito del Pil e a spingerlo a prendere in mano il proprio destino. Un’iniziativa di Confindustria e Anfia che si terrà a Torino con l’obiettivo di misurarsi con la delicatissima crisi del settore automotive, per tre anni protagonista della ripresa e oggi tallone d’Achille nella recessione. E la prima manifestazione nazionale di Cgil-Cisl-Uil convocata a Roma sabato 9 contro la politica economica del governo. La scelta del luogo (San Giovanni e non piazza del Popolo) farebbe pensare a un appuntamento non riservato a pochi intimi.

 

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