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I migranti avvistati alle 13.40, i libici coordinano i soccorsi solo alle 16.40 Il procuratore di Agrigento: “In 180 minuti la differenza tra vita e morte”

DALLA NOSTRA INVIATA ALESSANDRA ZINITI

AGRIGENTO. Tre ore di telefonate senza risposta, tre ore di rifiuto delle Ong con il solito ritornello: «Il coordinamento è dei libici, chiamate loro», tre ore di ordini mancati e di navi non richiamate a prestare aiuto. Quella che vi raccontiamo è la cronaca di una strage figlia di un ipocrita sistema di soccorsi, sostenuto dall’Italia e dall’Europa tutta, che affida alla Libia la responsabilità della salvezza di chi parte dalle sue coste pur consapevoli della sua inadeguatezza. È la cronaca di una giornata come tante altre, venerdì 18 gennaio, in cui però nella zona Sar libica qualcosa è andato più storto del solito. Di chi sono le responsabilità di questa strage? Dei trafficanti, certamente, che hanno stipato all’inverosimile un gommone vecchio e mezzo sfondato, della Guardia costiera libica che troppo tardi ha mandato i soccorsi ma forse anche della Guardia costiera italiana, prigioniera dell’ormai consueta prassi, ordinata dall’alto, di non intervenire negli eventi che si verificano nella Sar libica. Dimenticando che la convenzione di Amburgo prevede che, fino a quando l’autorità competente nella zona in cui si verifica l’evento non assume il coordinamento, la responsabilità del soccorso è di chi ne viene per primo a conoscenza. In questo caso l’Italia. Che forse non ha fatto tutto quello che avrebbe dovuto e potuto. Questo, almeno, è quello che ipotizza la Procura di Agrigento che, dopo aver sentito i tre superstiti e raccolto i documenti sulle comunicazioni tra gli attori della tragedia, ha inviato il fascicolo alla Procura di Roma chiedendo di valutare se, nelle scelte di chi quel giorno sedeva nella sala operativa dell’IMRCC di Roma, è ravvisabile il reato di omissione di atti d’ufficio. «Tre ore — dice il procuratore aggiunto Salvatore Vella — fanno la differenza tra la vita e la morte». Ecco la ricostruzione di quella giornata.

Ore 13.40: l’avvistamento

L’aereo P-72° del 41° stormo dell’Aeronautica militare di Sigonella, in volo di perlustrazione sul Mediterraneo, individua in un’area a 50 miglia a nord est di Tripoli un gommone “in fase di affondamento”. I militari vedono una cinquantina di persone a bordo, diverse altre in acqua. Avvertono immediatamente il loro comando e l’IMRCC di Roma, lanciano due zattere di salvataggio che si aprono regolarmente e fanno ritorno alla base. È questa l’ora in cui la sala operativa della Guardia costiera a Roma viene a conoscenza del naufragio in atto. In quel momento, secondo le testimonianze dei superstiti, la metà degli occupanti del gommone è già scivolata in mare.

Ore 13.42: passa il mercantile

I piloti dell’aereo Moonbird della Ong dell’aria che collabora con la Sea Watch, in pattugliamento nel Mediterraneo, captano la conversazione tra il velivolo militare e Roma e avvertono il comandante della Sea Watch che è da poche ore entrata in zona Sar libica. Vedono transitare in zona un mercantile Cordula Jacob, che batte bandiera liberiana e si sta allontanando dalla Libia in direzione dell’Egitto. Ma nessuno lo informa del naufragio.

Ore 14.00: il no ai soccorsi

Dalla Sea Watch 3 parte una telefonata alla sala operativa di Roma. La nave umanitaria dà la propria disponibilità ad andare in soccorso dei naufraghi e chiede notizie sulle coordinate. La risposta è quella ormai consueta: «Nessuna informazione, il coordinamento dei soccorsi è di Tripoli, chiamate loro».
Cos’altro fanno a Roma dopo aver saputo del naufragio in corso? I pm di Agrigento ricostruiscono una serie di telefonate dall’IMRCC a diversi numeri della Guardia costiera libica, ma non risponde nessuno per diverse ore. E nessuno risponde neanche al comandante della Sea Watch che prova inutilmente a mettersi in contatto con i libici. Nell’attesa che i libici rispondano da Roma nessuno ritiene di chiamare le navi più vicine che, in quel momento, sono il cargo liberiano e la Sea Watch 3 alla quale vengono negate le informazioni.

Ore 15.02: il primo allarme

Solo un’ora e ventidue minuti dal primo alert, Roma si decide a diramare il cosiddetto Navitex a tutte le navi in transito nella zona Sar libica. Comunica che c’è un gommone semiaffondato con 50 persone a bordo e due in acqua, dà le coordinate nautiche e indica i numeri di telefono della Guardia costiera libica a cui rivolgersi. Conosciute finalmente le coordinate, la Sea Watch 3 si dirige verso il gommone ma è a dieci ore di navigazione

Ore 16.40: la risposta libica

È l’ora in cui la Guardia costiera libica prende finalmente in carico il coordinamento dei soccorsi. Dal primo alert sono passate tre ore. Più o meno alla stessa ora sulla verticale del gommone ormai del tutto affondato arriva l’elicottero della Marina militare italiana decollato dal Cacciatorpediniere Duilio che è a 115 miglia.

Ore 16.45: il ritorno del cargo

La guardia costiera libica chiede all’Imrcc di Roma di chiamare il cargo liberiano (che nel frattempo ha fatto tre ore di strada allontanandosi dal luogo del naufragio) per farlo convergere alla ricerca di eventuali superstiti. Da Tripoli non parte nessuna motovedetta, i libici dicono di non averne disponibili. Anche il cacciatorpediniere Duilio punta sul luogo del naufragio

Ore 21: il soccorso

Il mercantile Cordula Jacob arriva in zona, è buio, scandaglia la zona ma non trova nessuno, né superstiti né cadaveri. Sono ormai passate sette ore e mezza dal naufragio

Ore 01.00: le zattere vuote

Arriva anche la Sea Watch 3 ma nel punto indicato ci sono solo le due zattere gialle ormai vuote.

Sorgente: Naufragio del 18 gennaio. Tre ore di indifferenza: le omissioni degli italiani nella strage dei 117 | Rep

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