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Gianni Sartori

Primo giorno di febbraio all’insegna della repressione a Mosca. Contro un gruppo di anarchici accusati di “complotto” e arrestati dalle FSB. Quella che dai compagni russi viene definita come un’autentica “incursione” (o rastrellamento, se preferite), è stata condotta dalla Federal’naja sluzba bezopasnosti Rossijskoj Federacii (il servizio segreto erede del KGB) nei confronti di una decina di militanti (o presunti tali) libertari la maggior parte dei quali è stata poi rilasciata. Ma non prima di aver subito minacce, maltrattamenti e in qualche caso anche torture. Rimane ancora nelle mani della polizia Azat Miftahov, accusato di far parte dell’organizzazione anarchica “Autodifesa del popolo” e della fabbricazione di ordigni esplosivi.

Accuse fondate sulle informazioni ottenute con la tortura da altri giovani fermati nella medesima incursione della polizia. Nel corso del 2018 diversi esponenti di “Autodifesa del popolo” erano già stati arrestati e anche allora si era parlato distintamente di minacce, maltrattamenti e torture. Non per niente alcuni militanti hanno dovuto lasciare il paese,per evitare sia il carcere che le torture.

Uno degli arrestati del 1 febbraio, Daniil Galkin, è stato picchiato e torturato con l’elettrochoc – per almeno due-tre ore – mentre era ancora nel veicolo della polizia. In sostanza, lo hanno costretto – sotto tortura – ad accusare Azat Miftahov di aver partecipato ad alcune azioni che si ritiene siano opera del movimento anarchico. Inoltre Galkin ha dovuto sottoporsi a una intervista in televisione e promettere che collaborerà con la polizia. Ma Galkin, per quanto terrorizzato da quanto aveva visto e subito, non ha taciuto sul fatto di aver anche incontrato Azat in una stazione di polizia (a Babashiha, regione di Mosca) descrivendolo come “completamente sfigurato” a causa delle torture subite. Ha poi anche raccontato di aver udito le grida – provenienti dalla cella accanto alla sua – di un’altra militante arrestata. Inoltre, ha riferito sempre Galkin, uno degli arrestati (e potrebbe trattarsi proprio di Azat Miftahov) si sarebbe tagliato le vene dei polsi e avrebbe ingerito dei medicinali per evitare altre torture e per non dover accusare i coimputati.

Ultima irregolarità (per usare un eufemismo): al prigioniero Azat Miftahov non è stato consentito di vedere il suo avvocato. Questo, mentre lo attendeva all’esterno del posto di polizia, ha potuto soltanto vedere che veniva prelevato e portato via. Destinazione per ora sconosciuta.

Gianni Sartori

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