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(Gianni Sartori)

 

Come Guccini quando cantava del suo macchinista ferroviere, anch’io “non so che viso avesse”.

Conosco invece, non solo “l’epoca dei fatti”, ma anche il “come si chiamava”.

 

Mahamadi Sissoko, deceduto il 5 febbraio, è già il settimo ferroviere morto in sciopero della fame a Kita (Mali).

La protesta era iniziata due mesi fa per reclamare oltre dieci (ormai quasi undici) mesi di salario non corrisposto. La prima vittima dello sciopero (a cui partecipano quasi 500 ferrovieri) risale al 18 dicembre 2018. Tuttavia soltanto dopo questo settimo decesso lo Stato del Mali ha proposto il pagamento di tre mensilità. Incontrando però la contrarietà del sindacato e dei lavoratori che – sentendosi “presi in giro” – hanno lanciato la parola d’ordine “O il pagamento integrale dei salari arretrati o la morte”.

Il nome di Mahamadi Sissoko va quindi ad allungare la lista dei ferrovieri che hanno già perso al vita in questa lotta estrema, disperata: Moussa Sissoko, guidatore a Kita; Siaka Sidibe, macchinista a Toukouto; Seydou Sidibe, deviatore a Kayes; Sekouba Bagayoko, capo sezione a Bamako; Mariam Doumbia, responsabile della sicurezza a Bamako…

Inoltre, secondo i sindacati locali, sarebbero morti “alcuni neonati e mogli dei lavoratori che non avevano denaro per curarsi”.

A monte di tutto questo, le privatizzazioni. Oltre ad aver  ridotto i lavoratori alla fame, hanno anche consegnato le ferrovie in mano agli speculatori, sia nel Mali che in Senegal. Tra le conseguenze più gravi, l’abbandono della linea Dakar-Bamako. Se nel 2003 c’erano ancora 22 locomotive, già nel 2015 erano ridotte soltanto a tre.

La scoperta di aver lavorato sostanzialmente a gratis per 11 mesi ha messo i ferrovieri di fronte a un problema molto attuale: “Se diventa normale lavorare senza essere pagati, dove andremo a finire?”.

O magari, suggerisco: “Dove siamo già andati a finire?”.

 

Consapevoli di non aver ormai “niente da perdere” (a parte le solite catene, ovviamente) digiunano per rivendicare il diritto non solo al salario, ma al rispetto, alla dignità.

La loro lotta – eroica, combattiva, definita “esemplare” – evoca quella analoga dello sciopero della fame condotto nel 1947 da oltre 20mila ferrovieri della linea Dakar-Bamako. Durata ben 160 giorni, si concluse con la vittoria – per quanto pagata a caro prezzo – dei lavoratori.

Come allora, al fianco dei ferrovieri si sono schierati amici e  familiari. Particolarmente determinate le donne, madri, mogli e figlie dei ferrovieri che il 13 febbraio hanno manifestato a Kayes portando  uno striscione con la scritta “J’ai faim, 10 mois sans salaire”.

 

Concluderei con un’altra citazione gucciniana: “trionfi la….etc.

Se non è chiedere troppo…

Gianni Sartori

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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