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di Elena Testi, da L’EspressoFare testamento biologico in Italia, a più di un anno dall’approvazione della legge sul fine vita, vuol dire trovarsi in un caos di risposte vaghe, in un viaggio pieno di ostacoli grotteschi. Da Roma fino ad Avellino, ogni Comune dispiega una diversa procedura, tanto che esprimere le proprie volontà, in assenza di una banca dati nazionale, può risultare inutile. Eppure per istituirla basterebbe un semplice decreto del governo.L’unico passaggio chiaro dell’iter è come compilare le “Disposizioni Anticipate di Trattamento”. Due fogli in tutto, scaricabile in prestampato dalla rete, dove è obbligatorio apporre una serie di crocette alla voce “disposizioni generali in caso di una malattia giudicata irreversibile associata a grave disturbo cognitivo”. Un rosario di intenzioni che vanno da «in caso di arresto cardio-respiratorio si pratichi la rianimazione cardiopolmonare» fino al «si ricorra alla sedazione profonda».In teoria depositare le Disposizioni Anticipate di Trattamento dovrebbe essere semplice. Bisogna recarsi nel Comune di residenza o andare direttamente da un notaio, ma «senza un registro nazionale», spiega la dipendente di un Municipio romano, «se le succede qualcosa a Milano, il medico potrebbe non saperlo». Ed è questo il grande problema: senza una banca dati le disposizioni rischiano di rimanere in un cassetto chiuso.È il 14 dicembre 2017 quando il Senato approva la norma sul testamento biologico. Durante la seduta, le telecamere inquadrano i volti di Mina Welby, Monica Coscioni e Beppino Englaro che si abbracciano composti, dopo anni di battaglie: il biotestamento è legge. Ma non sanno che la norma rimarrà zoppa, tanto che un anno dopo si vedranno costretti a scendere nuovamente in campo con una lunga lettera, questa volta indirizzata alla ministra Giulia Grillo, per chiedere la piena attuazione della norma. Una legge attesa, voluta e combattuta ma che ancora non trova la sua esecuzione completa, nonostante la legge sul fine vita sia stata salutata come una rivoluzione civile.Tutto gira intorno a un decreto applicativo atteso da mesi, ma che il governo sembra non avere la volontà di emanare, malgrado le dichiarazioni roboanti. Decreto che dovrebbe dar vita al tanto atteso registro che raccoglie le Dat e renderle così consultabili ai medici degli ospedali italiani. Nella manovra economica 2017 sono stati messi a bilancio 2 miliardi di euro per la sua realizzazione, altri 400 mila euro sono stati invece previsti per la manutenzione di un qualcosa che non esiste. Impossibile avere una data certa della sua creazione, al Ministero della Salute la bozza del decreto, che dovrebbe dar vita al registro e finalmente rendere pienamente attuative le «Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento», è in mano a degli esperti di settore, ma dalla ministra Giulia Grillo nulla trapela. Eppure nel settembre 2016 fu proprio lei a scrivere un post sul quale chiedeva velocità e immediatezza: «Lo Stato non può più sottrarsi alle proprie responsabilità e deve colmare un vuoto rispetto al quale la nostra società da tempo chiede e attende un atto di indirizzo».Di velocità e immediatezza sembra che si siano perse le tracce. La legge n. 219 per essere efficace necessitava, entro e non oltre 5 mesi (data stabilita il 30 giugno 2018) la creazione di un’apposita banca dati per le Disposizioni anticipate di trattamento. È il 22 giugno quando Giulia Grillo, a una manciata di giorni dalla scadenza prevista, chiede al Consiglio di Stato di chiarire alcuni punti, perché «di difficile interpretazione». In poco più di un mese palazzo Spada emette il verdetto. Il 31 luglio di quest’anno chiarisce che«la banca dati nazionale su richiesta dell’interessato deve contenere copia delle Dat, compresa l’indicazione del fiduciario, salvo che il dichiarante non intenda indicare soltanto dove esse sono reperibili». Non solo, per il Consiglio di Stato «il registro nazionale è aperto anche a tutti coloro che non sono iscritti al Servizio sanitario nazionale».E ancora: «L’interessato deve poter scegliere di limitarle solo ad una particolare malattia, di estenderle a tutte le future malattie, di nominareil fiduciario o di non nominarlo, ecc. Spetterà al Ministero della Salute mettere a disposizione un modulo-tipo per facilitare il cittadino a renderele Dat». Grillo appare soddisfatta: «I chiarimenti del massimo organo della Giustizia amministrativa ci consentono di ultimare la predisposizione di un provvedimento molto atteso dai cittadini, ma purtroppo per lungo tempo dimenticato nei cassetti». Tutto sembra essere pronto, a mancare sono solo i decreti del ministero. Ma passano le settimana, i mesi, e Mina Welby, Beppino Englaro e Monica Coscioni, sono costretti a iniziare una nuova lotta, questa volta contro la pigrizia burocratica: «Le scriviamo per chiederLe di porre fine alla violazione dei termini per l’attuazione della legge sul Biotestamento, una legge ottenuta grazie a persone

Sorgente: La grande beffa del testamento biologico negato – micromega-online – micromega

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