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Il pragmatismo del leader pentastellato sull’Alta velocità: “Il no ci farà perdere voti al Nord”. Ma anche il garante del Movimento è pronto a screditarlo in caso di un via libera all’opera

Èsuccesso prima che scomparisse. Alessandro Di Battista ha affrontato la questione Tav durante una riunione e guardando in faccia Luigi Di Maio e gli altri membri dello staff ha detto: «Se vi permettete di dire Sì, io esco un minuto dopo e mi dissocio». È un concetto che ha fatto arrivare ai vertici del M5S anche nelle ultime strazianti ore di Di Maio, tormentato dai dubbi sull’Alta velocità. Dal suo esilio da tv e social, autoimposto dopo un mese turbolento culminato con la frustrata richiesta di un applauso nello studio televisivo di DiMartedì, «Dibba» ha fatto sapere ai vertici che questa volta non avrebbe abbozzato come sulla Tap, non si sarebbe limitato a chiedere scusa ad attivisti ed elettori per l’ennesima promessa tradita. Troppe volte i video dei suoi proclami, accomunati tutti da una granitica convinzione, gli si sono rivolti contro quando il M5S al governo ha fatto l’esatto contrario di quello che lui dichiarava con tanta sicurezza. Sulla Tav non vuole più correre questo rischio.

La Lega spera in Conte: «Potrebbe scoprire che giuridicamente non conviene dire No»

Il tema è stato affrontato. E Di Maio è stato sincero: «Dire di no ci fa perdere i voti del Nord. Di questo dobbiamo esserne tutti consapevoli, prima di dare l’ultima parola». Ma l’ultima parola è la prima, come gli ha ricordato Beppe Grillo. A pranzo, a Roma, e poi in diverse telefonate, il capo politico ha espresso al fondatore tutti i suoi timori elettorali. Grillo però è stato categorico: «Fa nulla il consenso, su questo non possiamo cedere». Anche il comico, come Di Battista, sarebbe pronto a pubblicare un post l’attimo dopo un eventuale ok grillino all’opera. Allo stesso modo non potrebbe esimersi da una battuta, durante il suo show, che affosserebbe Di Maio. Il leader ha ben presente il rischio: si tratterebbe di una dichiarazione di sfiducia nei suoi confronti, nel momento peggiore per la sua leadership. Senza parlare di cosa accadrebbe a Torino, tra i militanti, e in Parlamento, con Roberto Fico che ha fatto della cancellazione della Tav la sua principale battaglia di testimonianza, assieme al referendum sull’acqua pubblica.

Ma perché Grillo e Di Battista sentono il bisogno di precisare qualcosa che sarebbe scontato nella galassia grillina, e di avvertire Di Maio?

Perché hanno registrato i tentennamenti del vicepremier di fronte a una scelta che comunque vada potrebbe costargli cara. Chi lo conosce bene racconta sempre un particolare della sua biografia politica: Di Maio non ha mai partecipato a una manifestazione No Tav, la lotta contro la Torino-Lione non è mai stata identitaria per lui come lo è per Fico che invece non fa che ricordare come la prima assemblea dei meet-up grillini sia stata propria in Val Susa. Di Maio si vanta di essere un pragmatico, e così avrebbe voluto affrontare la questione. Ma non può farlo fino in fondo. Sa che in ogni caso la sua è una decisione votata a una sconfitta. Il No inchioda il M5S all’immagine di Movimento contro le grandi opere e fa sfumare ogni sogno di rimonta nelle regioni del Nord dominate dalla Lega. Il Sì – anche alla versione low cost proposta da Salvini – trasformerebbe i 5 Stelle in una polveriera. Verrebbe abbattuto uno dei simboli fondativi e il leader ne verrebbe forse travolto. Per non parlare di cosa si direbbe a proposito di chi detiene l’egemonia tra i gialloverdi: «Diranno che siamo ancora succubi della Lega», si ripete ogni volta.

E allora che fare? La situazione così complicata suggerirebbe di rinviare ancora una volta, evitare di decidere, sfruttare il rinnovo dei bandi in scadenza per prendere altro tempo. Ma Salvini, annusando le difficoltà dell’alleato, ha fatto in modo di spiazzarlo ancora una volta e ha detto di voler accelerare, perché «non c’è bisogno di aspettare il 26 maggio per pronunciare due semplici letterine». I leghisti sono certi che alla fine i grillini non potranno che adeguarsi, e sperano in Giuseppe Conte, che possa scovare come per la Tap quel cavillo giuridico (cause, penali miliardarie…) in grado di costringerli a dire di Sì.

Eppure fino a ieri Di Maio era certo che la tattica di Salvini fosse invece proprio quella di trascinare questa situazione di scontro fino al voto delle regionali in Piemonte, sempre il 26 maggio, per capitalizzare consensi sulla Tav, non lasciando le ragioni del Sì solo al Pd. Un logoramento che i grillini vogliono evitare: «Dobbiamo cancellare dal dibattito pubblico la Tav», si è sfogato più volte Di Maio, arrivando persino a ipotizzare, ma subito dopo a escludere, un altro voto sulla piattaforma Rousseau. Un modo per allargare le responsabilità anche alla base: «Così dopo nessuno, almeno su questo, potrebbe dire che la colpa è mia» .

 

Sorgente: Il veto di Grillo e Di Battista: “Se dice sì, sfiduciamo Di Maio” – La Stampa

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