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Sempre più isolati in Europa, stiamo uscendo dalle sfide chiave del Mediterraneo. Le liti tra partiti e ministri minano la credibilità. Facendo crollare influenza e affari

di Gianluca Di Feo

«Ogni mattina arrivo in ufficio e trovo un altro delegato che mi dice: “Spiacenti, ma l’atteggiamento del vostro governo è inconciliabile”». Il rappresentante italiano di un grande organismo europeo è desolato e vive con rammarico lo sgretolarsi della nostra politica estera. In sei mesi è stato messo tutto in discussione. Si naviga a vista, senza una rotta, senza nemmeno una stella polare a cui fare riferimento. Settant’anni di certezze stanno svanendo. E l’Italia perde rapidamente peso in tante partite chiave: quelle che non solo determinano l’influenza di un Paese ma ne garantiscono pure la prosperità economica.

Il Venezuela è il caso più lampante. Ieri il premier Giuseppe Conte ha ribadito la linea della neutralità: «Il modo migliore per aiutare il popolo venezuelano è non schierarsi». Ormai in Occidente siamo rimasti praticamente gli unici a non riconoscere Guaidò. Conte ha ignorato il richiamo del capo dello Stato, ha ignorato gli appelli della comunità italiana e così rischia di tagliarci fuori dal futuro di Caracas, che sarà alimentato dalle ricche concessioni petrolifere.

Ancora più grave è quello che sta accadendo in Libia. A novembre con la conferenza di Palermo ci siamo illusi di essere ancora gli arbitri della situazione. Invece il potere di Fayez Serraj, il leader che abbiamo sostenuto, si dissolve giorno dopo giorno. Il suo rivale, il generalissimo Khalifa Haftar, continua a conquistare territori: ieri ha proclamato di avere preso il controllo dei campi petroliferi di Sharara, non lontano dal confine algerino. È il segno di quanto si sia espanso nel Fezzan, lì dove due anni fa l’accordo di pace firmato a Roma davanti a Marco Minniti aveva sancito l’influenza italiana. Adesso l’avanzata delle colonne di Haftar nel Sud viene accompagnata dai raid dei Mirage francesi. Sappiamo tutti che la Libia è fondamentale per i nostri interessi strategici: la chiave delle risorse energetiche e dei flussi di immigrazione. Ma assistiamo impotenti al dilagare del generalissimo spinto da Francia ed Egitto. Due nazioni che hanno appena stretto un’intesa globale, finanziata da Parigi con un miliardo. Mentre il governo di Roma non riesce neppure a ottenere risposte alle rogatorie sull’uccisione di Giulio Regeni.

Negli ultimi mesi il Mare Nostrum si sta rimpicciolendo. Il ritiro tedesco ha svuotato la missione europea Sophia: Berlino non ha accettato la chiusura dei porti ai migranti. E così l’Italia ha perso definitivamente il ruolo di leader nel Mediterraneo che Bruxelles ci aveva riconosciuto nel 2015, affidandoci la guida della prima operazione militare congiunta. Una questione di prestigio, ma non solo. L’industria navale per noi è importante, come ha dimostrato l’acquisto dei cantieri francesi Stx da parte di Fincantieri: una trattativa difficile, mediata dall’allora premier Gentiloni. La rottura con la Francia mette l’accordo a rischio e l’Antitrust europea potrebbe presto dare il colpo di grazia. D’altronde nel settembre 2017 Macron era stato chiaro: «Ci sono due partite in cui vinciamo insieme o perdiamo entrambi: Stx e l’alta velocità Torino-Lione». Il conflitto sulla Tav è noto. Il Movimento 5Stelle la vuole fermare a tutti i costi, nonostante la minaccia europea di chiederci la restituzione dei fondi. Questo ovviamente non piace a Parigi, già avanti nei lavori, e getta ombre sull’affidabilità dell’intero Paese.

Oltre alle beghe tra partiti ci sono pure quelle tra ministri, come il bisticcio tra i titolari di Esteri e Difesa sul ritiro dall’Afghanistan: disfide interne accolte con costernazione nel quartier generale della Nato. Ieri poi il premier era in Libano, dove per la prima volta è entrato al governo il partito sciita Hezbollah: lo stesso movimento che a dicembre Salvini ha definito «terrorista» durante la visita in Israele. Un altro fronte, quello del Medio Oriente, dove non si capisce più cosa vogliamo fare. Donald Trump ci ha esentati dall’embargo all’Iran ma due giorni fa Teheran ha annunciato che l’Italia ha smesso di importare petrolio. Berlino, Parigi, Londra hanno allestito strutture finanziarie per mettere l’export con l’Iran al riparo dalle sanzioni statunitensi. E noi? Non si tratta solo di affari, anche se nel 2017 l’interscambio commerciale ha superato i 5 miliardi: la neutralità in questo caso ci aveva sempre reso protagonisti del dialogo con la Repubblica islamica. Adesso non si sa da che parte stiamo. Con Washington? Con Mosca, come la linea dettata da Salvini sull’Ucraina sembra far intuire? Di sicuro siamo sempre più lontani da Bruxelles. Conte non se ne preoccupa. Come se lo spread tornato ad impennarsi non dipendesse dalla credibilità complessiva del “sistema paese”. «Non saranno altri che ci detteranno l’agenda», ha detto il presidente del Consiglio. Già. Ma qual è oggi l’agenda dell’Italia?

 

Sorgente: Dalla Libia al Venezuela, così si dissolve il ruolo dell’Italia | Rep

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