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21/10/2018 Roma, Rai 3, trasmissione televisiva ‘Mezz’Ora in Più’, nella foto Luigi Di Maio – Cristiano Minichiello / AGF

“Dichiareremo guerra al lavoro nero e al caporalato!”, aveva promesso Luigi Di Maio il 3 settembre scorso da Foggia.

“La norma sui rider è pronta: avranno tutele su malattie, infortuni e paga minima”, aveva anticipato il 14 gennaio.

“Non cederemo l’Ilva a chiunque, abbiamo un piano B (ma non ve lo dico)”, si esponeva ancora il ministro del Lavoro e dello Sviluppo economico, il 10 agosto scorso.

“Sono molto fiducioso che Alitalia possa essere rilanciata e essere all’altezza delle sfide sui mercati e che gli italiani non debbano metterci più soldi”, elargiva speranza il 12 dicembre, al momento di allungare per la terza volta il prestito fatto alla compagnia.

E si potrebbe continuare.

Alla politica degli annunci, questo governo – e, per onore del vero, quasi tutti quello che lo hanno preceduto – ci ha abituato. Ma c’è una coazione a ripetere particolarmente micidiale in Luigi Di Maio, che ha voluto ammassare incarichi e rispettivi oneri per marcare territori cruciali a dare un’impronta alla vita dello Stato: la creazione, l’organizzazione e la gestione del lavoro, la spinta all’economia e le scelte strategiche del futuro. Non solo in ottica di crescita del Prodotto interno lordo – sarebbe quasi banale ricordare che siamo però già in recessione tecnica, con la speranza che il prossimo trimestre abbia un lieve sussulto positivo –  ma anche di ripristino di legalità, regole, condizioni eque e sostenibili.

Come quelle che dovevano stare alla base del tavolo interministeriale contro il caporalato, convocato una sola volta, il 3 settembre scorso e nato su proposta del sindacato Usb, cui apparteneva Sacko Soumaila, ucciso a fucilate i primi di giugno scorso.

“Incontrammo il ministro il 4 luglio scorso e presentammo una serie di proposte in merito alla condizione di vulnerabilità sociale, precarietà lavorativa e di sfruttamento, insistendo sugli elementi che riguardano anche l’intermediazione e il caporalato, perché in questo settore ci sono molteplici iniziative e tanti soggetti che si muovono, ma manca un coordinamento interistituzionale”, spiega oggi Aboubakar Soumahoro, rappresentante sindacale di Usb. Tuttavia, dopo quel primo incontro, è calato il silenzio.

E ci è voluto l’omicidio di altre 16 braccianti in sole 48 ore, ad agosto scorso, per riuscire a sedersi con il ministro e tutti gli altri rappresentanti della filiera: era il 3 settembre e Di Maio annunciò a favore di telecamere che il tavolo sarebbe stato istituzionalizzato, promettendo al contempo la riforma dei centri per l’impiego.

“Da allora non si è più fatto nulla”, denuncia Soumahoro. La  legge 136 del 2018, con cui è stato convertito il decreto Disposizioni urgenti in materia fiscale e finanziaria, all’articolo 25 quater segnalava la nascita del tavolo, la cui modalità organizzativa dovrebbe essere fissata da un apposito decreto interministeriale entro 90 giorni dall’entrata in vigore della legge. Cioè dal 19 dicembre 2018: manca un mese alla scadenza e nessuno ha avuto notizie. “L’unica cosa che ha fatto il ministero è stata chiedere a ogni organizzazione i nomi di due referenti più un supplente”.

La protesta dei lavoratori sardi, in questi giorni, potrebbe fare riaccendere i riflettori sul caso. La mancanza di impegno per dare “dignità umana a chi lavora la terra” è un problema radicato in profondità, e in diversi contesti.

“Noi andiamo avanti con queste richieste da molto prima che il ministro Di Maio si insediasse, e prestare il fianco alle critiche politiche non ci interessa. Se però qualcuno pensa di fare la politica agli annunci, cercheremo di richiamarlo agli impegni che ha promosso ” precisa Soumahoro.

Ma richiamare Di Maio agli impegni si fa sempre più difficile: il superministro e vicepremier al momento ha da gestire soprattutto le grane del Movimento 5 Stelle e i provvedimenti, come il reddito di cittadinanza, che potrebbero arrestarne l’emorragia di consensi.

Lo fa presente, forse tirando un sospiro di sollievo, persino qualcuno degli operatori del food delivery, cioè le società che mandano in giro i fattorini a consegnare pasti altrui.

Nemmeno un mese fa, all’indomani della sentenza con cui il tribunale di Torino riconosceva a cinque ex rider di Foodora alcuni diritti equiparabili a quelli dei parasubordinati, sembrava che un nuovo accordo quadro, su cui ragionare con aziende, e rappresentanti sindacali fosse cosa fatta. Il ministro si era sbilanciato fino a fare filtrare che le nuove norme sarebbero state inserite nel decreto attuativo di Quota 100 e del reddito. Invece, sono scomparse. E, soprattutto, non se ne è nemmeno mai parlato: nessuno ha ricevuto alcuna convocazione.

Al ministero rispondono scocciati quando si chiede loro di dare qualche dettaglio in più su cosa stia facendo esattamente il ministro. O anche solo su quali siano i prossimi impegni. L’agenda di Di Maio consultabile pubblicamente, al momento non segnala nulla. E quel nulla, sommato ai molti che lo hanno preceduto, inizia a essere davvero preoccupante per un paese che si avvia a essere l’ultimo in Europa per crescita economica, e che è già in recessione.

Faremo una legge per legare il marchio al territorio”, aveva promesso il ministro il 5 gennaio ai dipendenti dello stabilmento Pernigotti di Novi Ligure: il 4 febbraio è stata firmata la cessazione di attività, in cassa integrazione i dipendenti e a spasso i precari.

Chiuso anche il dossier Ilva (venduta ad ArcelorMittal, come stabilito dalla gara fissata dal governo precedente), resta sul tavolo Alitalia. Durante un incontro, il 14 febbraio, pare che il ministro si sia dimostrato “molto soddisfatto” dell’interesse di Delta e Easy Jet per la compagnia di bandiera. Intanto però a dicembre è stato rinnovato ancora una volta – la terza – il prestito ponte da 900  milioni. La nuova scadenza è giugno, e a quel punto il debito che Alitalia dovrà rimborsare allo Stato sarà pari a 1 miliardo e 50 milioni. Dove la compagnia troverà i soldi, e quanta voglia abbiano di metterceli i possibili nuovi azionisti, Di Maio ancora non lo ha specificato.

Sorgente: Caporalato, rider, Pernigotti, Ilva, Alitalia. Tutti i ‘tavoli di confronto’ annunciati da Di Maio ma rimasti deserti – Business Insider Italia

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