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La guerra sotterranea tra Lega e Cinque Stelle sulle autonomie chieste da Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna, sta disegnando alleanze impensabili fino a poco tempo fa. Come quella tra i grillini e i grand commis di Stato, i “burocrati” dei ministeri. Se per il Movimento Cinque Stelle, le bozze messe a punto da Veneto e Lombardia vengono definite a microfoni spenti «irricevibili», il grimaldello per smontarle sono proprio i pareri dei tecnici ministeriali. Quello del ministero dell’Economia, considerato il più rilevante, è da qualche giorno sulla scrivania del ministro degli Affari regionali Erika Stefani. Lo ha firmato Francesca Quadri, capo dell’ufficio del coordinamento legislativo di via XX settembre. Ironia della sorte, uno di quei “burocrati” finito nelle liste di proscrizione grilline ai tempi in cui il Movimento voleva epurare il ministero. Ora, invece, quello stesso parere è una delle leve in mano alla pattuglia pentastellata del governo per smontare le intese sulla questione fondamentale: i soldi. Per il ministero la tassa sull’auto, l’Irap, l’addizionale Irpef, il tributo speciale per il deposito in discarica dei rifiuti solidi, ossia tutte le tasse che le Regioni vogliono controllare, sono tributi erariali e, dunque, «di competenza statale esclusiva». Sin dalle prime righe del parere, il Tesoro, mette il dito nella piaga. La domanda è semplice. Come si inseriscono le tre intese nel percorso già definito del federalismo fiscale e che prevede la definizione di «livelli essenziali delle prestazioni»? Tradotto: la legge dice che in tutto il territorio nazionale vanno garantiti servizi della stessa qualità e lo Stato agisce sotto il profilo «perequativo», ossia aiuta chi ha meno risorse per garantire quei servizi. Insomma, se non si definiscono prima i livelli essenziali delle prestazioni, il sistema potrebbe essere “squilibrato”. Inoltre, spiega il parere del ministero, «non si può prescindere da un’attenta valutazione della spesa sostenuta dalle amministrazioni statali per le funzioni trasferite, stante la necessità di procedere, a seguito del trasferimento delle stesse funzioni, ad una riduzione degli stanziamenti delle amministrazioni interessate in misura corrispondente alle maggiori entrate riconosciute alle Regioni». Anche qui, il conto del dare e dell’avere andrebbe fatto prima, e non dopo che le intese sono state siglate.IL PASSAGGIOC’è poi un punto su cui il Tesoro punta particolarmente il dito. Veneto e Lombardia hanno inserito nei loro documenti una sorta di “clausola di garanzia”. Funziona così: le Regioni finanzieranno le loro nuove funzioni con una compartecipazione all’Irpef. Oggi le tasse raccolte nei loro territori, vengono girate interamente a Roma. L’idea è quella di trattenerne una parte in loco, diciamo, per esempio, due decimi del totale. Ma cosa accade se, per esempio, il governo taglia le tasse? Se questo accade, è la risposta delle Regioni, allora la quota di Irpef trattenuta nei territori deve aumentare. Per ipotesi, se si arrivasse alla flat tax del 15% voluta dalla Lega, è probabile che buona parte del gettito Irpef rimanga in Veneto e Lombardia. Ma, ancora, si domanda il Tesoro, che cosa accade se le tasse invece di ridurre aumentano? La clausola di salvaguardia non funziona al contrario. Significa che il maggior gettito rimarrebbe in quelle Regioni. Dunque, scrive il ministero, «non è chiaro se l’eventuale maggiore onere conseguente sia a carico delle rimanenti regioni (con conseguenti presumibili contenziosi) o sia a carico della fiscalità generale. Un gioco a perdere per tutti. Tranne che per tre Regioni.

Sorgente: Autonomia, lo stop del Tesoro: su Irpef e Irap decide lo Stato

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