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Bruxelles. Dalla Gran Bretagna alla Francia, dalla Grecia alla Romania e alla Polonia, persino la Germania, la maggioranza dei paesi sono in difficoltà. Bruxelles e Francoforte (Bce) rispondono che la sola difesa della sovranità passa per la Ue. Il rischio di paralisi dopo le elezioni europee. E da Juncker arriva l’autocritica tardiva sull’austerità e il trattamento alla Grecia

La Gran Bretagna nella tormenta per una Brexit che non trova la quadratura del cerchio, dopo le false promesse di una campagna elettorale avvelenata. La Francia impelagata in una crisi sociale, dove una rivolta popolare proteiforme fa tremare il potere, che gioca la penultima carta del Grande Dibattito per evitare di cedere e convocare elezioni anticipate. La Polonia sotto choc dopo l’assassinio del sindaco di Danzica, di fronte allo scontro sanguinoso tra nazionalisti e progressisti. La Grecia che si lacera sul nome di un paese limitrofo, la Macedonia (del Nord), mentre l’uscita dalla crisi del debito è ancora lontana. La Romania, che deve assicurare la presidenza semestrale del Consiglio Ue senza averne la piena capacità visti gli attacchi ricorrenti alla democrazia, come in altri paesi dell’est europeo che hanno intrapreso la strada “illiberale”. I paesi del nord, che si giudicano “virtuosi”, che non vogliono cedere nulla sulle regole. L’Italia che parla ad alta voce, ma alla fine non può fare altro che guardare in faccia le reazioni dei mercati alle velleità economiche di brevissimo periodo. La Spagna che deve far fronte ai fantasmi del passato, con l’irruzione dell’estrema destra di Vox. E anche la Germania, con Angela Merkel a fine corsa, costretta a rivedere al ribasso le previsioni di crescita, che ha sfiorato la recessione a fine 2018, con un calo del pil dal 2,2% all’1,5%.

IN QUESTO CONTESTO l’euro compie 20 anni (anche se nelle tasche degli europei è entrato solo nel 2002) e la Commissione si prepara agli ultimi mesi di lavoro, prima delle europee di fine maggio.

È arrivato il momento dei mea culpa: ieri, il presidente della Commissione Jean-Claude Juncker ha affermato che la Ue non è stata «sufficientemente solidale» con la Grecia, imponendole un’«austerità avventata», pagata dai cittadini. Ma è anche il momento di riflettere sul futuro. Come ha sottolineato ieri il presidente della Bce, Mario Draghi, le «sfide globali si affrontano insieme», l’Europa – e l’euro per i 19 paesi che lo condividono – in un mondo dominato da altri, Usa e Cina che si sfidano, resta un’arma di sovranità. È contro-intuitivo, per la propaganda semplificatrice. Come afferma Mario Centero, presidente dell’Eurogruppo, «in questi ultimi anni, il tentativo di apportare risposte semplici a problemi complessi ha favorito i populismi». La strada per fare dell’euro una moneta al pari del dollaro negli scambi internazionali è ancora lunga, ma la vicenda delle sanzioni Usa contro l’Iran, che coinvolgono anche chi commercia con Teheran utilizzando la moneta Usa, ha rivelato una volta di più i rischi di una perdita di sovranità, se manca la forza dell’unità.

LO SCIAME SISMICO che sta scuotendo tutta la Ue, dalla Brexit ai gilet gialli, alle democrazie “illiberali” e alla minaccia di recessione economica che sfiora persino la Germania, sta portando a ripensare la marcia della costruzione europea. Una delle ultime proposte della Commissione Juncker riguarda il passaggio progressivo alla maggioranza qualificata sul fisco. Oggi, sulle questioni fiscali vige l’unanimità, cioè qualunque paese può porre il veto (e proteggere così il dumping fiscale). Il commissario agli Affari economici e monetari Pierre Moscovici ha proposto l’adozione di un’armonizzazione che riguarderà le regole, il tipo di tasse da imporre (per esempio, in discussione dovrà esserci la tassazione delle multinazionali del digitale). L’armonizzazione non riguarderà però i tassi, che restano di competenza nazionale.

L’IDEA DI FONDO, A BRUXELLES e a Francoforte, è che la sovranità si difende in Europa attraverso il rafforzamento della Ue, non con il ritorno alla difesa miope di supposti interessi nazionali, gli uni contro gli altri all’interno della Ue. Questa è la posta in gioco delle prossime elezioni europee: il rischio di una regressione nazionalista, o quello, più probabile, di una paralisi per 5 anni. Resta uno spiraglio per una reazione di unità, in un mondo dove la democrazia è in declino ovunque.

Sorgente: Unione europea nella tempesta | il manifesto

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